Trauma e risorse nel Sandplay TRiS©

Basi neurobiologiche

di Karl-Klaus Madert M.D.
(Psichiatra, analista junghiano – Terapia corporea – Monaco, Germania – www.DrMadert.de)

La Persona è il processo di strutturazione dei contenuti della coscienza attraverso un percorso di scelta, concettualizzazione, approvazione, limitazione, creazione di una storia e di un mito personale.

Un complesso traumatico si struttura in situazioni di stress eccessivo. È un processo allo stesso tempo fisiologico e psicologico.

Un livello di stress molto elevato porta alla rottura dello scudo che ci protegge da una stimolazione eccessiva e il sovraccarico sensoriale genera una disfunzione cerebrale. La funzione della Persona è compromessa.

La strutturazione di un’immagine della realtà coerente e completa è il risultato di un lavoro dinamico del nostro cervello: sono coinvolti tutti i nostri sensi, ognuno secondo le sue proprie modalità percettive, e all’insieme delle percezioni viene attribuito un significato. In condizioni di stress eccessivo, questa funzione viene sovraccaricata. A prima vista questa sembrerebbe un’interruzione del normale processo di strutturazione, ma si tratta in realtà di un mal funzionamento.

Il risultato è una dissociazione primaria. I ricordi verranno conservati nella memoria in maniera frammentata, e non secondo un insieme coerente di esperienze. Questa è la conseguenza di un malfunzionamento del cervello. La Persona va in pezzi. La dissociazione primaria è una mancanza di funzionamento, non una “difesa”!

Se la condizione di stress permane a lungo, il cervello non riuscirà a integrare l’esperienza dissociata. In questo modo la situazione stressante verrà immagazzinata nella sua globalità, legata quindi a uno stato d’allerta e alla consapevolezza di non essere riusciti a risolvere il problema. Questo processo diventa particolarmente importante se ci si trova a subire una minaccia di violenza fisica o psicologica da parte di un’altra persona, perché in questi casi l’immagine interiore che si viene a formare è legata a un’esperienza relazionale. Per esempio: sono un incapace – non merito di essere rispettato – devo sottomettermi per sopravvivere. Il mondo degli uomini diventa un mondo pericoloso.

Il complesso traumatico si sviluppa per compensare questa esperienza devastante. Una compensazione secondaria passa attraverso un livello sia fisico sia caratteriale, ed è chiamata corazza caratteriale, o compensazione del trauma.

Nonostante ciò, situazioni o “spunti” che ricordino il trauma originario possono innescare lo stato di trauma e portare l’individuo a sentirsi nuovamente minacciato. La “sensazione percepita” diventa una sensazione di pericolo. Ma questa è una proiezione top-down nel corpo del complesso traumatico.

La prima risposta a una situazione pericolosa è mediata dalla funzione attacco-fuga del sistema simpatico. Il tempo di reazione varia dai 10 ai 15 millisecondi, con un’attivazione involontaria del sistema limbico emozionale e un movimento involontario, eseguito primariamente dal sistema extrapiramidale motorio dei gangli della base. A causa di questa risposta immediata, questo processo è definito il “sistema a caldo” della reazione allo stress.

C’è anche un “sistema a freddo”, che effettua una valutazione più lenta e razionale, mediata dalla corteccia cerebrale. Servono circa 200 millisecondi per generare una valutazione cognitiva conscia della situazione e trovare una soluzione al problema.

 

In una situazione traumatica lo stress diventa intollerabile, perché non si trova una soluzione al problema. Non si può interrompere razionalmente la reazione di stress una volta attivata: essa permane finché non si trova una soluzione, e solo in quel momento la situazione stressante cessa di esistere. Quando un uomo è in pericolo di vita, reagisce naturalmente con l’attacco o la fuga. Il sistema nervoso simpatico si attiva. Quando l’attacco o la fuga non sono in grado di risolvere la situazione di pericolo, insorge il panico o ci si immobilizza.

Il sistema vagale è l’antagonista del sistema simpatico e limita l’attivazione di quest’ultimo in situazioni di stress. Funziona come una fermata d’emergenza.

 

È costituito da due parti.

Il sistema vagale dorsale è filogeneticamente antico: quando il livello di stress è così alto da risultare decisamente nocivo per l’individuo, si innesca un’interruzione d’emergenza che trasforma la stimolazione eccessiva in un riflesso catalettico. L’individuo crolla. Questa risposta allo shock si struttura ancor prima della nascita.

I neuroni di questo sistema non sono mielinizzati.

 

Il sistema vagale ventrale si forma tra il secondo e il terzo anno di vita e media la modulazione delle emozioni da parte della corteccia prefrontale ventrale: i neuroni di questo sistema sono mielinizzati.

Questo significa che i bambini molto piccoli non sono capaci di modulare le proprie risposte allo stress attraverso un’azione corticale. Hanno bisogno che i loro caregiver lo facciano per loro.

Di conseguenza, se prima del periodo tra il secondo e il terzo anno di vita si formano schemi di risposta allo stress incompleti, essi non vengono rappresentati nelle strutture corticali.

In terapia bisogna lavorare a livello delle strutture limbiche e extrapiramidali motorie.

 

Le risorse creative strutturano una Persona sana.

Le risorse creative attivano il sistema vagale ventrale prefrontale corticale. La creatività lavora attraverso i simboli e le analogie. Questa è una funzione corticale. Dissociazione e simbolizzazione sono incompatibili. Talvolta la corteccia “descrive” uno stato traumatico attraverso immagini analoghe. Tuttavia, a causa della dissociazione primaria, queste analogie mancano di parti importanti della “gestalt”: la rappresentazione delle sensazioni ed emozioni corporee primarie dissociate. Inoltre, se lo stato traumatico ha avuto origine prima che il sistema vagale ventrale si formasse, la struttura del sistema non era ancora assolutamente in grado di creare simboli. Tutto ciò comporta un deficit nella struttura psichica, che deve essere preso in considerazione nel momento in cui si inizia una terapia con questi soggetti.

La Sandplay Therapy attiva la funzione corticale di simbolizzazione. L’immaginazione avviene a livello corticale. La creatività può mascherare uno stato di trauma.

Un’immagine analoga può essere utilizzata per accedere al complesso traumatico. La Sandplay Therapy permette l’accesso a un livello simbolico più profondo, ma, senza un’integrazione del livello corporeo, il cambiamento della condizione traumatica non potrà essere significativo. Si può attivare uno “stato di risorse” che attraverso la corteccia prefrontale permette la modulazione dello stato fisico, emotivo e mentale, ma la base fisiologica di uno stato traumatico, innescato a livello dei sistemi limbico ed extrapiramidale motorio, rimarrà inalterata.

Ho parlato prima dei due sistemi di risposta in situazioni di pericolo: uno consiste nella reazione immediata involontaria e inconscia del sistema “a caldo”, l’altro nella valutazione corticale ritardata.

Il sistema di memoria funziona in modo corrispondente. La risposta immediata è immagazzinata nella memoria implicita, involontaria e inconscia, che si forma quasi completamente a livello archetipico e genetico.

Solo l’aspetto esplicito del ricordo della situazione traumatica può essere riportato alla mente volontariamente e può essere verbalizzato. Tuttavia, verbalizzare il trauma non porterà necessariamente a una modificazione dell’immediatezza della reazione innata di fronte a una situazione minacciosa o pericolosa, simile alla situazione traumatica originaria.

Di conseguenza, in terapia dobbiamo lavorare sulla memoria implicita, per modificare l’eccessiva reazione abituale a situazioni potenzialmente pericolose simili al trauma primario.

 

Riassumendo

Cause scatenanti attivano un circuito “come se” traumatico. Lo stato traumatico originario viene rievocato, insieme agli schemi di sopravvivenza utilizzati per affrontarlo. Tutto ciò accade involontariamente. La Persona si irrigidisce e l’individuo si ritrova a “funzionare” seguendo gli schemi attivati per affrontare la situazione traumatica, dunque a sopravvivere!

 

La terapia tenta di creare un collegamento tra la parte esplicita del ricordo della situazione traumatica e quella implicita, molto importante, e permette all’individuo di sviluppare un senso di sicurezza positivo, diventando capace di gestire le situazioni di pericolo, almeno nel presente. Questo è possibile soltanto quanto il corpo rimanda al sistema di memoria implicita di essere in stato di sicurezza.

Questo è un feedback bottom-up.

 

Per usare le parole di Antonio Damasio: “To be effective the process has to have shown up on the stage of the body, so to speak has to have looped through the body first” [Per essere efficace, il processo deve essersi mostrato sul piano corporeo, deve, per così dire, essere prima passato attraverso il corpo].

La memoria dell’uomo non è un registratore. Ogni volta che riportiamo alla memoria un ricordo, il contenuto è attivato in uno stato incerto. Soltanto in seguito viene collegato allo stato attuale e nuovamente immagazzinato. Non possiamo ricordare senza cambiare i nostri ricordi. Credo dunque che la terapia di un complesso traumatico si debba basare sul ripristino del meccanismo della memoria state-dependent [memoria dipendente dallo stato, N.d.T.].

Questo significa anche che quando ricordiamo una situazione traumatica, riportiamo alla memoria anche la risposta allo stress originaria. Ci ritroviamo di fronte a quella stessa situazione traumatica. Se non modifichiamo questa risposta allo stress a livello corporeo, non faremo altro che rinforzare il circuito della memoria traumatica, riattivando il trauma stesso.

Questo processo è definito ritraumatizzazione.

L’arte della terapia del trauma prevede due passaggi:

  • Rievocare la situazione traumatica e allo stesso tempo
  • Fornire, a fronte di una situazione corporea sicura, in una condizione di eustress, una cornice di sicurezza alternativa, nuove capacità di coping e ricchezza di risorse.

Trovarsi in una situazione di eustress mentre si elabora un ricordo traumatico è di fondamentale importanza per evitare la ritraumatizzazione.

Per questo sono determinanti la condizione di sicurezza in terapia e la comprensione da parte del terapeuta.

Prestando attenzione al livello di stress del paziente durante il confronto con il trauma, e intervenendo immediatamente quando si verifica una dissociazione, il terapeuta può modulare il livello di stress. Questo richiede talvolta un intervento diretto, soprattutto quando si instaura una meccanismo dissociativo.

La struttura è fondamentale per fornire un senso di sicurezza e prevenire la ritraumatizzazione.

Le sabbie mettono in scena le analogie con la situazione traumatica originaria: rappresentano la tendenza della psiche a rendere attuale il complesso del trauma irrisolto (effetto Zeigarnik) e allo stesso tempo tentano di allontanare la situazione traumatica rievocata. Dando forma e azione a un’esperienza difficile da sopportare, non esprimibile a parole, cercano di contenere un devastante sentimento di impotenza. Quando ci si trova davanti a una situazione di pericolo irrisolvibile, come nel caso del trauma, si percepisce necessariamente un senso di impotenza. Nessuno vuole rivivere questa emozione senza essere attivamente aiutato ad affrontarla e a non evitarla. In caso di trauma le capacità di auto-guarigione della psiche sono state sovraccaricate ed è mancato un ambiente circostante sano che abbia potuto supportare una guarigione spontanea dell’individuo.

Data questa contraddizione interna, quando un contenuto traumatico viene attivato nel Snadplay e ci si confronta con esso involontariamente, o appositamente, non possiamo lasciare che le libere associazioni prendano il sopravvento. La psiche non è in grado di ristrutturarsi senza aiuto terapeutico se l’individuo vive a un livello funzionale al trauma (che è un livello disfunzionale!). Si dissocerà, o tenterà di evitare il devastante senso di impotenza dato da una qualunque immagine di sabbia per quanto “bella”. Le capacità di auto-guarigione saranno ripristinate solo in una situazione di eustress, con il sostegno e l’aiuto di un terapeuta empatico con cui condividere le proprie esperienze traumatiche. E funziona!

 

Il confronto con il complesso traumatico deve avvenire a cinque livelli. Questo permette il coinvolgimento della memoria implicita ed esplicita allo stesso tempo.

Una delle tecniche più efficaci per diminuire il livello di stress è la stimolazione bilaterale, che attiva il sistema vagale a livello sensomotorio e riattiva il corpo dalla reazione di shock e di blocco. Esistono circa un centinaio di studi scientifici che provano l’efficacia della stimolazione sensoriale e sensomotoria nella terapia del trauma.

 

I vantaggi dell’utilizzo del TRiS nella Sandplay Therapy con pazienti traumatizzati sono:

  • Esternalizzazione: la struttura del Sandplay rievoca il complesso traumatico, e ne è allo stesso tempo simbolo
  • Triangolazione: la Persona/il Sé conscio assiste al trauma e alle risorse da lontano
  • Proporzioni: la grande Persona guarda le piccole miniature del Sandplay nella disposizione del suo complesso traumatico
  • Stabilizzazione: la scena viene creata stando in piedi, con i piedi per terra, muovendosi e utilizzando i sensi
  • Controllo: agendo e creando grazie alle sue capacità di auto-guarigione (come direbbe Jung, “con il suo Sé”) il paziente è responsabile del cambiamento della sua memoria legata al trauma

 

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L’AISPT, espressione italiana della International Society for Sandplay Therapy ISST, si occupa di formazione, ricerca, condivisione di esperienze e conoscenze sulla psicologia con il metodo del Gioco della Sabbia, all’interno di una rete internazionale che facilita lo studio, la discussione specialistica e lo scambio tra i terapeuti. La Sandplay Therapy fornisce un linguaggio simbolico anche a chi non ha parole per esprimere il proprio malessere, consentendo di rappresentare il mondo interno così come si è costellato.

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