Rubrica VOCI DAL MONDO
di Paola Manzoni
Presento, in questo numero dedicato al tema del Femminile, un contributo che viene a noi dalla Corea del Sud, ad opera della Prof.ssa Mikyung Jang. E’ una lettura che mi ha sorpreso, in due sensi. Il primo è che nonostante le distanze geografiche e culturali, i nostri due Paesi presentano dinamiche della trasformazione del modo di essere e di presentarsi al mondo dei due generi, maschile e femminile, che hanno tanti punti in comune. Il secondo senso riguarda il fatto che, se all’inizio la prospettiva di accostare il Femminile anche attraverso la strada di una faticosa ripetitività mi ha persino stupito, mi sono poi resa conto di quanta verità essenziale ci sia nel comprendere che il Femminile creativo rappresenta solo un polo di una dialettica, che ha nel polo della ripetitività il suo opposto. Lo sappiamo bene noi terapeuti: se in ogni incontro col paziente si accende, quasi sempre, una luce di creatività esistenziale, un passo in più nel buio di tante situazioni e che ci porta ad amare la nostra funzione, ciò è possibile perché insieme ai nostri pazienti accettiamo il ripetersi del rito di stare vicini nella caverna del nostro studio. Come l’orsa Ungnyeo, che dopo cento giorni divenne umana. Tante volte questo avvicinarsi può presentare fatica, per noi e per loro, di ordine organizzativo ad esempio, o ancora di più di tipo emozionale, ma la condizione della regolarità del setting condiziona e suggella le effettive possibilità creative del processo.
La dipendenza delle donne coreane dalla perfezione e il viaggio della “tediosa” ripetizione alla scoperta del Femminile
di Mikyung Jang
Le donne affrontano nella loro vita una serie di cambiamenti biologici ed emozionali significativi, diversi da quelli degli uomini. Dal ciclo mestruale alla gravidanza, dal parto alla menopausa, le donne devono continuamente adattarsi alla portata di queste evoluzioni naturali e accettarle. Affrontano le trasformazioni emotive e relazionali legate alla crescita dei figli, dalla nascita alla loro autonomia e infine indipendenza. Tutto ciò richiede un alto livello di adattabilità e apertura alla costante trasformazione, ma il processo può spesso apparire ripetitivo e tedioso. Oltre ai ruoli di madre e moglie, le donne possiedono una dimensione maschile che le guida incessantemente verso la realizzazione sociale e la crescita personale. Sebbene questo aspetto maschile sia una forza naturale oltre che una risorsa, richiede anche integrazione. Le donne coreane in particolare, hanno subito, e continuano a vivere, una profonda trasformazione. Molte di esse oggi sono figlie di una generazione che sopravvisse alla guerra e contribuì alla prosperità economica della Corea. Spesso percepiscono il vivere nel momento presente come una forma di regressione. Di conseguenza si trovano a resistere al presente, provando sospetto verso ciò che stanno affrontando, nonostante le loro circostanze attuali, come anche le frustrazioni che si trovano a vivere, siano intrinseche all’esperienza umana naturale. Questo atteggiamento si estende anche al ruolo genitoriale. Molte donne affrontano l’educazione dei figli con la medesima propensione al successo che applicano alla carriera e alla posizione sociale. Di conseguenza faticano ad accettare le imperfezioni dei figli e così vivono un inferno interiore in cui credono di dover eccellere nel lavoro, crescere figli perfetti, gestire impeccabilmente la casa e avere un marito che si conforma alle loro alte attese. Ma in questa dinamica risulta difficile per il marito manifestare il proprio lato maschile positivo, che quindi risulta impoverito. Paradossalmente, quando un uomo ha a che fare con una donna eccessivamente dominante, diventa meno attraente – non per una mancanza di cura o devozione – ma per una diminuzione della sua mascolinità. Questa mancanza di eros porta anche a una perdita di identità femminile anche per la donna.
Il perfezionismo delle donne coreane si allinea al concetto proposto da Marion Woodman di “dipendenza dalla perfezione”. Le donne dipendenti dalla perfezione sono paragonabili a donne a cui è stato compiuto un furto, o che da sole si sono private, della loro natura femminile interiore (Woodman, 1980) in un contesto patriarcale. Nel tentativo di non ripetere le vite delle loro madri, l’attuale generazione di donne ha rifiutato la femminilità tradizionale, optando per una vita dominata dal potere patriarcale. Le donne hanno giocato un ruolo cruciale nel recupero della Corea dalla devastazione della guerra, tuttavia il loro contributo è tuttora percepito come trascurabile. La società tendeva a considerare di minor valore la vita delle donne, mentre attribuiva alta considerazione al lavoro degli uomini, che costruivano aziende, case e avevano posizioni sociali di prestigio. Questa mentalità potrebbe essere stata influenzata dalle tradizioni confuciane, che tendevano a svalorizzare le qualità femminili.
Nel dopoguerra, gli uomini trovarono i loro ruoli limitati: erano autoritari e patriarcali, spesso riluttanti a impegnarsi nei lavori svolti dalle donne, preferendo invece affermare la propria autorità. Ora che la Corea è uscita dalle devastazioni della guerra e ha raggiunto la prosperità economica, le donne non sono più vincolate alle lotte di quell’epoca. Tuttavia, molte continuano a essere dipendenti dal nuovo potere patriarcale della perfezione, che porta con sé un rifiuto dei tratti della loro femminilità. Le difficoltà uomo-donna della generazione successiva alla guerra hanno portato con sé una versione idealizzata del femminile, che viene proposta alle figlie e riflette il concetto della Woodman di “amante ombra” (shadow lover). Questa proiezione, insieme al vissuto di frustrazione delle madri, ha enfatizzato l’orientamento alla perfezione delle donne. Così esse si trovano in un contrasto caotico tra due poli opposti: il proposito di una femminilità superficiale che mette in primo piano l’apparenza, anche se irrealistica, e la spinta a raggiungere risultati, esito delle attese pressanti delle madri. Le donne che subiscono o attuano questa proiezione idealizzata faticano spesso ad avere un buon rapporto con il proprio corpo e la propria sessualità. La preoccupazione per l’estetica le conduce a sottoporsi a operazioni di chirurgia ambite per avere un corpo “perfetto”. Le donne intrappolate in questa lotta di opposti sperimentano il loro perfezionismo non solo come madri o professioniste, ma più in generale nel modo di entrare in contatto con il mondo. Possono sentirsi represse, piene di risentimento, vittime dei loro stessi fardelli, mentre cercano di cavarsela sempre da sole. Questo conflitto può sfociare in uno stato caotico, segnato da una rabbia inspiegabile verso i figli e i coniugi. Tuttavia durante momenti di calma notturna, possono realizzare che niente deve essere vissuto con un eccesso di sacrificio e che i figli non sono robot, e che questa è la vita che volevano e che hanno scelto. Ma con il mattino il caos ritorna, trascinandole di nuovo nel tumulto dell’alba.
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Quadro di sabbia di una donna in difficoltà di 50 anni
La guarigione è possibile paradossalmente attraverso il contatto con alcuni aspetti spirituali della tradizione. Anche se Mardock (1990) non usa specificamente il termine “tradizionale”, la sua descrizione della guarigione come esperienza di abitare il corpo femminile, sia come corpo materno che come corpo sessuale – comprendendo i processi del concepire, mettere al mondo, crescere figli – si avvicina alla femminilità storicamente abbracciata nella società coreana. Il pensiero della tradizione coreana, radicato nella comunità, unisce tutti gli individui favorendo uno stato dove le persone rimangono emotivamente resilienti anche in momenti di difficoltà. Ciò ha a che fare con il concetto di totalità, archetipo materno e unione di opposti. In donne mature si può osservare un’ inclusività e una relazionalità che abbraccia mancanze e debolezze, sia in sé che negli altri. Questa idea è illustrata dalla figura di Ungnyeo nel mito di Dangun, fondatore della cultura coreana. Ungnyeo o “donna orsa” era in origine un orso che si trasformò in essere umano, rimanendo cento giorni in una grotta buia, sopravvivendo con aglio e artemisia, prima di vedere la luce. Proprio come le donne che rifiutano la propria femminilità possono vivere la cura dei bambini, il lavoro di casa come noiosi, deprimenti e senza significato, parallelamente la vita quotidiana di Ungnyeo seguiva un ciclo monotono di ansia e disperazione. Tuttavia questa ripetizione non era priva di scopo; infatti alla fine la condusse in un mondo di luce, dove incontrò un essere divino e diede alla luce Dangun. Dangun, figlio di un dio e di Ungnyeo, volle fondare un nuovo paese nei pressi dell’Albero della vita sul monte Taebaek, con l’obiettivo di realizzare il concetto di “benessere dell’umanità” (hongik ingan) che cerca di dare benessere a tutti. Nella caverna con Ungnyeo c’era un altro essere, una tigre, che anch’essa desiderava diventare umana, ma non riuscì a reggere il tedio della ripetizione e alla fine ci rinunciò. La tigre simbolizza una forma di maschile negativo che fa fatica ad accogliere. In termini moderni la osserviamo quando le donne rigettano la loro femminilità, ad esempio rifiutano di avere figli oppure optano per non essere madri nutritive quando diventano genitori facendo in modo che altri prendano il loro posto, assegnano priorità al lavoro e al successo sociale e fanno fatica ad accettare il loro stesso modo di apparire. Esse possono trovare assurdo affidarsi ad aglio e artemisia per superare le difficoltà, perché non è ciò che desiderano davvero. Lo spirito di Hongik Ingan accoglie le imperfezioni proprie e altrui. Non seguirlo conduce a malattie sociali e patologie individuali che includono depressione, ansia, difficoltà interpersonali, isolamento, autoagressività, suicidio, abuso e violenza. Questi fenomeni sono sempre più evidenti nella società coreana, con un numero di donne sempre più alto che rifiuta la genitorialità e la femminilità. Le donne che superano il vissuto di tormento e risentimento e vanno verso il mondo possono vivere con un senso di rispetto e di accettazione di sé e degli altri, abbracciando le intrinseche imperfezioni della vita, come Ungnyeo, che si trasformò in una donna vera dentro la caverna, che simboleggia il femminile.
Bibliografia
- Kim Y. H. (2021), Psychological symbolism of the shamanic song of Princess Bari: from the perspective of analytical psychology, Shim-Song Yon-Gu. 36(1), 1-52.
- Murdock M. (1990), The heroine’s journey: Women’s quest for wholeness, Shambhala
- Woodman M. (1982), Addiction to perfection, Inner City Books
Profilo di Mikyung Jang, Phd
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- Professoressa all’Università di Namseoul,
- Past President della Società coreana della Sandplay Therapy,
- Presidente dell’Associazione coreana per il Benessere del Bambino,
- Capo redattore dell’International Journal of Jungian Sandplay Therapy”,
- Dirige la Rivista coreana Simboli e Sandplay Therapy,
- ISST, KSST TM, Terapista del gioco e Analista junghiana.
E’ la rappresentante della Korean Society for Sandplay Therapy. Ha un background accademico in psicologia evolutiva, psicologia dell’infanzia e criminale. Ha studiato psicoanalisi junghiana all’Istituto C.G.Jung di Zurigo. Ha insegnato le citate discipline all’università di Namseoul per 29 anni e come terapeuta ha praticato dai 26 anni in poi. Le piace introdurre i pazienti alla Sandplay ed anche insegnare Sandplay in tanti Paesi diversi. Lo ha fatto sino in Uganda, Nepal, Malaysia e Cina, oltre a presentare seminari a Zurigo. Ha anche condotto progetti di Sandwork per bambini di strada, sopravvissuti a calamità naturali, profughi. Recentemente ha sviluppato linee guida per interviste giudiziarie in conflitti familiari alla Corte di Corea. Esse sono la base per ogni professionista che operi nel settore del diritto. Ha raccomandato in questo settore l’uso della Sandplay Therapy con particolare riferimento ai casi in cui il minore non riesce a spiegarsi per via verbale. Ha sottolineato inoltre la necessità della specifica formazione per i professionisti coinvolti.