di Anna Maria Cester.
La lettura per la rubrica Corrispondenze di questo nuovo numero di Orme è il libro da cui tutti i terapeuti del Gioco della sabbia (d’ora in pio Gds) sono partiti e che recentemente è stato ristampato grazie allo sforzo congiunto di Marco Garzonio e la casa editrice MaGi. Parliamo del testo di Dora Kalff, Giocare con la sabbia per agire sulla psiche, che è tornato in libreria a 50 anni dalla prima edizione. Come ci ha insegnato Mario Trevi, lungo il proprio cammino ogni tanto è importante Riprendere i propri Maestri: per dare respiro e freschezza alle acquisizioni date per consolidate nella propria memoria, per interrogare un testo e monitorarne la sua validità nel dialogo sempre nuovo con il tempo presente; renderlo parola viva. E dunque in questa ottica, la corrispondenza della nostra rubrica questa volta va pensata in questi termini: tra un testo classico e il tempo presente; tra il secolo in cui è stato scritto e il nostro; tra la nostra maestra e noi, per come siamo diventati e per la direzione in cui stiamo andando come terapeuti di questa epoca.
Il libro è noto e la struttura del testo è ripartita tra una breve presentazione del proprio metodo di lavoro, nella sua storia e nei suoi antecedenti teorici, che lascia poi un ampio spazio ai casi clinici, che parlano nella loro semplicità e freschezza della vita dei piccoli e grandi pazienti seguiti in terapia, nonché del pensiero, della prassi e della personalità della terapeuta Dora Kalff. Una breve conclusione teorica conclude il corpus del testo kalffiano. In questa edizione il testo originale viene incorniciato ed impreziosito da una prefazione del collega Garzonio, che delinea la storia e delle chiavi ermeneutiche di quanto viene esposto dall’Autrice e propone un mito, quello del Vasaio, al quale fare risalire l’universo simbolico in cui si radica il Gds. Conclude una post-fazione di Martin Kalff, che riprende e analizza in una visione tanto personale quanto professionale il metodo del Gds.
Come dicevamo il volume è ritenuto un classico, considerazione che metterò a tema, anche per quanto riguarda il filo conduttore di questa rubrica, ovvero la lettura di testi di pensatori che cercano, in varia maniera di andare a cogliere dove si è radicato il pensiero antropocenico, per poter correggere la rotta. Dora Kalff, chiaramente non appartiene a questi tempi, eppure credo che, tra le tante letture possibili del libro, una sia anche questa. Il Gds è un percorso analitico che diversamente dalla talking cure classica, si snoda attraverso un’esperienza materiale, fisica e corporea. Esiste un teatro delle mente che si attiva, ma che si muove a partire da un medium come quello della sabbia, che è reale, materico e altro da sé e dal proprio pensiero. E in questo credo che possa mostrarci come all’’interno della tradizione del Gds, esista la possibilità di un pensiero altro rispetto a quello dominante occidentale, che ha creato la condizioni per qual degrado ambientale ed antropologico che osserviamo e in cui viviamo.
Tenteremo di leggere questo testo attraverso tre punti chiave:
- l’Ambiente come casa fisica, casa della personalità del terapeuta e casa del gioco in tutta la sua qualità
- La creatività, come ponte tra la mano che agisce sul mondo interno e agisce su quello esterno, sempre percepibile.
- Un modello di integrazione del terapeuta e le radici del Gds: la commozione ed il sentimento religioso, in cui passaggi terapeutici sono una forma di preghiera
Fondamento clinico del modello di terapia della Kalff, è l’esperienza espressa nel testo e leggibile anche implicitamente nella prassi clinica, con i clinici evolutivi della scuola londinese. Sicuramente la Lowenfeld, a cui la Kallf fa sempre esplicita menzione per quanto riguarda la Tecnica del mondo, come antecedente da cui il modello del Gds; ma ciò che mi è sembrato più evidente nella lettura fatta dopo anni a mia volta di lavoro con i bambini, è la tradizione ed il pensiero winnicottiano, che chiaramente l’autrice declina secondo la sua equazione personale. L’incipit è chiaro: nel lavoro con bambini ed adolescenti si osservano delle corrispondenze con quel processo individuativo descritto da Jung che spinge da dentro il bambino verso il raggiungimento di una personalità armonica, spinta ontogenetica profonda chiamata da Jung il “Sé”. Ma il Sé non è un patrimonio intoccabile e inalienabile, ma una realtà umanamente sostenuta e custodita dal caregiving materno, che attraverso l’esperienza di disponibilità e contigenza nel rispondere ai bisogni fisici e psichici emergenti del bambino, rende reale questa possibilità potenziale nel bambino. Finché dopo l’anno di vita dice la Kalff il centro di questa totalità si libera da quello della madre, il bambino prova sempre più un senso di sicurezza nei rapporti con la madre e da questo senso di confidenza si fonda una sicurezza del bambino. Sicurezza che su un piano figurativo si esprime, seconda la Kallf, attraverso il disegno di figure circolari, interpretate dalla stessa come simboli di totalità- che reperirà spesso nelle sabbie dopo descritte.
Chiaramente, così come è stato espresso dai colleghi freudiani, il modello evolutivo della Kalff, che si appoggia espressamente sul lavoro teorico di Neumann, è molto sorpassato dalla ricerca psicanalitica in età evolutiva: autori come Stern, o Beebe e Lachmann attraverso un lungo lavoro di osservazione microanalitica, hanno rettificato molti assunti sulla stadiazione evolutiva desunti dalle descrizioni della propria infanzia, tratte da terapie dell’adulto, e non corrispondenti alla realtà osservata dei lattanti e delle diadi madre-bambino. Per citarne solo quelli pertinenti a quanto detto sino ad ora: l’Infant Research ha dimostrato come non esista una fase di totale passività in cui il sé del bambino è nella psiche della madre, ma sin da subito sussiste un’intersoggettività tra un sé emergente del piccolo e quello del caregiver. Così come l’entrata in quella fase di “liberazione” di cui parla la Kallf non è databile ai 12 mesi di vita, ma almeno all’emersione della fase del “no”, ovvero almeno 18 mesi. Per quanto riguarda poi le sintonizzazioni materne, in un campione normativo- di madre sufficientemente buone, appunto- la videoregistrazione ed analisi congiunta dei segnali del bambino e delle risposte della madri a questi segnali, ha mostrato come le sintonizzazioni cosiddette “perfette” sono una piccola minoranza rispetto a quelle “imperfette” in cui il conscio o l’inconscio della mamma legge e guida la risposta al bambino verso un ‘intenzionalità che non è sempre coincidente con quella espressa dal piccolo. E infine è stato dimostrato ampiamente come ciò che si può ritenere un caregiving sano, non consiste tanto in una ineccepibile risposta materna o paterna, quanto nella possibilità di una flessibile e sensibile riparazione a quegli scambi imperfettamente sintonizzati tra madre o padre e figlio che nella realtà costituiscono la stragrande maggioranza degli eventi osservati.Premesso questo, in cui il testo dunque risente inevitabilmente dello spirito del tempo in cui è stato scritto, e che va tenuto presente e superato, rimane molto affascinante la declinazione clinica che la Kallf da a questa premessa teorica. Dice: “è compito del terapeuta riconoscere queste forze (integrative del Sé ndr) e proteggerle; il terapeuta è custode di un bene prezioso e come tale egli significa per il bambino lo spazio, la libertà ed insieme i limiti”. Le parole Spazio, Limite e poi Ambiente, sono parole che durante la lettura evocano una tridimensionalità simbolica, in cui fisicità e spiritualità si vede come siano esperite in primo luogo e trasferite nella terapia in tutta la loro portata. Citando Bachofen continua “L’alta dignità del simbolo sta appunto nel fatto che esso permette e perfino promuove diversi gradi di comprensione, e dalle verità della vita fisica conduce a quelle di un ordine più elevato, spirituale”. A questo la Kallf aggancia la “simbologicità” delle figure del Gds, che potremmo dire sono tali, e non decadono a giochino nella sabbiera, perché emergono in un “atmosfera di confidenza fra analista e bambino, una specie di unità madre-figlio, che esercita il suo influsso salutare”. Ma questa unità simbolica non può – sembra sentir dire- chiudersi in una cassetta di sabbia, perché la Kallf non ci mostra solo questo. Continua infatti dicendo, e poi mostrandoci come trovi “straordinariamente importante non separare il trattamento terapeutico dall’ambiente e dall’atmosfera in cui esso avviene. “Quando la pesante porta di casa (del 1485) si è chiusa dietro al bambino, esso entra in una vecchia stanza, in cui trova una stufa..ecc” e continua una lunga descrizione in cui qui, come nella trattazione poi dei casi, si mostra la genuina e grande disponibilità a lasciare che i piccoli tocchino il corpo della casa, e attraverso questo, quello della terapeuta. Si arrampicano, stropicciano il cane della terapeuta, giocano a bocce nel giardino, spaccano bottiglie, e persino se il momento terapeutico lo richiede, sfogano la loro aggressività che emerge nella “tappezzeria rinnovata di fresco”. Dove casa e terapeuta sono profondamente e simbolicamente l’ambiente madre che accoglie attraverso una postura religiosa senza memoria e senza giudizio, almeno fino al momento in cui sia necessario iniziare a mettere limiti, ma sempre e solo nel momento in cui la fase evolutiva del bambino o del ragazzo lo richieda, e sempre nell’ottica di una protezione di quel livello del processo di vita profonda che la terapia rende rivivibile. Dunque, in una realtà di un teatro incarnato che permette di poter tornare a contattare e dare nuova vitalità a quel livello di sensorialità, emotività, e direi con un linguaggio contemporaneo, di affetti vitali che compongono quell’atmosfera primordiale in cui la vita emergente del bambino prende forma e sostanza. Questa com-posizione simbolica è ciò che da le chiavi di lettura con cui la Kallf riesce a dirigere con una forza intrinseca e non rigida quella complessità di scelte che compie intra e spesso extra setting. E in questo risiede a mio giudizio il valore e la grande tenuta di questo approccio, anche alla prova delle mutazioni dei quadri clinici dei nostri tempi.
Concludendo per cosa dobbiamo Riprendere la Kallf e dalla Kallf? Come espresso a giudizio di chi scrive, il punto di forza che per noi e per il mondo attuale è particolarmente prezioso, è l’atteggiamento genuinamente simbolico con cui offre ai pazienti e a noi lettori, un esempio di integrazione profonda ed elegante tra psiche e soma, concreto e astratto, singolare e collettivo. Rimane controversa la scelta di appoggiare la propria teoria clinico più su una teoria archetipico culturale, come il pensiero di Neumann, e meno su quel filone di psicanalisi infantile, come i teorici oggettuali e Winnicott, di cui poi il suo lavoro è fortemente nutrito invece. Questo aspetto mi sembra che nel tempo non abbia favorito quella integrazione simbolica che pure la Kallf incarnava così compiutamente, ma piuttosto una certa tendenza verso un’unilateralità in cui a volte è prevalso il polo astratto della spiritualità, a scapito tanto delle radici evolutive che invece sono ben miscelate nell’atteggiamento clinico dell’Autrice. Rimane dunque a noi l’impegno di rendere di nuovo esperienza viva questa tradizione, per tonare ad abitare quel livello profondo che ci ha così ben mostrato, in cui il corpo del mondo, quello dela paziente e quello della sabbia corrispondono.