Sandplay Therapy e Psicologia Analitica – Gruppo di studio e ricerca “I casi difficili” – Firenze 1 e 2 ottobre 2016

Firenze, 1 e 2 ottobre 2016 Gruppo di studio e ricerca “I casi difficili”

Organizzazione

Ezia Palma Partecipanti: Talamini, Napoliello, Tramaloni (Milano), De Toma, Saletti (Varese), Canato (Rovigo), Quaglino, Bitelli (Torino), Palma (Firenze), Simonetta (Trapani).

Memoria della discussione a cura di Eleonora Tramaloni


Sabato 1 ottobre ci siamo riuniti nella bella sede della Sala Convegno della Chiesa di San Marco, in via Dogana, 1 nel centro di Firenze per il nostro incontro annuale di confronto sui casi clinici, proseguendo la ricerca sui “casi difficili”.

Entriamo nel merito del lavoro con la presentazione della collega Emilia Chiara Canato che porta al gruppo un lavoro di confronto sul trattamento dei pazienti borderline attraverso il test proiettivo Rorschach e la sandplay.

La collega rileva il limite manifesto di ogni classificazione diagnostica e le caratteristiche degli utenti con disturbo di personalità “Border” di manipolare e invalidare le valutazioni testistiche strutturate. Rileva O.Kernberg “….. i pazienti con una organizzazione della personalità borderline raramente danno prova di disturbo formale nel loro processo di pensiero, tuttavia il loro modo di pensare spesso assume la forma del processo primario e si manifesta sotto forma di fantasie primitive quando il paziente si trova di fronte a stimoli non strutturati come quelli del test di Rorschach…”.

Significative altresì le considerazioni tratte dal libro di R. McCully“ Jung e Rorschach” nel quale si legge…“…Gli stimoli del Rorschach sono in grado di penetrare oltre la sfera cosciente del soggetto e di far emergere materiale inconscio. Le tecniche del colloquio tendono invece a focalizzare i problemi relativi all’adattamento formale del paziente alle situazioni della sua vita….”

Sono stati presi in considerazione due casi clinici: un giovane trentenne e un adolescente di 17 anni, nel quale si sono evidenziate le difese e le difficoltà nell’ associare alle macchie del test contenuti e immagini, non così nell’approccio alla “Sandplay”, nella quale all’immagine prodotta si sviluppando, sia verso la relazione con il terapeuta con il quale il paziente si apriva alla possibilità di una ulteriore comunicazione profonda.

La stessa M. Lowenfeld, negli anni cinquanta, a proposito dell’adattamento psicometrico e alla standardizzazione del “Test del Mondo” elaborato da C. Buhler, aveva sostenuto di essere più vicina alla visione di Dora Kalff, che vedeva nell’immagine prodotta dal paziente l’apertura a tutte quelle forze necessarie allo sviluppo della personalità, sia intellettuali che spirituali, nello “spazio libero e protetto” inizio di un percorso e di un processo di trasformazione psichica.

Alcuni spunti formali, rilevati nelle tavole del test di Rorschach, sono diventati uno stimolo nella riflessione collettiva e nel confronto con le immagini delle sabbie, nelle quali l’aspetto emergente era lo stato emotivo e le difficoltà relazionali di entrambi i pazienti.

Nel pomeriggio della prima giornata del seminario, la collega Maria Elisabetta Quaglino ha presentato un caso di un bambino di 5 anni affetto da mutismo selettivo. La diagnosi del disturbo, già effettuata a livello neuropsichiatrico, è stata confermata durante i primi colloqui effettuati con il bambino e i genitori; attraverso il gioco e la Sandplay il bambino esprimeva un livello d’ansia piuttosto elevato, in particolar modo nelle situazioni di contatto con il mondo esterno vissuto come estraneo e perciò pauroso e pericoloso, e una grande fatica a separarsi dalla madre e a restare da solo nella stanza della terapia. Allo stesso tempo però, fin dai primi incontri, era chiaro come questo bambino fosse portatore anche di grandissime risorse interiori e di un’elevata capacità simbolica.

La collega ci descrive come i primi mesi di lavoro terapeutico con questo bambino siano stati caratterizzati dalla creazione di sabbie (suo terreno di gioco elettivo per l’espressione di emozioni e vissuti) rigorosamente e completamente in silenzio, mentre era compito del terapeuta dar voce alle storie raccontate solo dalle sue mani. Attraverso la sabbia il bambino ha potuto dar forma a emozioni e sentimenti intensi e faticosi: confusione, rabbia e una grande difficoltà di separazione.

Nel percorso con la Sandplay Therapy il bambino ha avuto la possibilità di esprimersi a livello non verbale nel pieno rispetto dei suoi tempi interiori, senza forzature nella produzione del linguaggio. Questo ha permesso un progressivo abbassamento del livello d’ansia e, grazie anche al legame di fiducia creato con la terapeuta, il cambiamento delle modalità espressive del bambino nei confronti del mondo. Un cambiamento ben visibile anche nelle sabbie, che ha continuato a creare anche dopo aver cominciato a parlare nella stanza della terapia. Da immagini ricche di tesori (simbolicamente e concretamente) ma molto caotiche, si è passati a quadri di sabbia sempre molto ricchi ma più ordinati, narrati a voce e rappresentativi della trasformazione interiore del bambino: sabbie immagini di un’evoluzione interiore e poi di un’esteriore.

La collega pone l’accento su come il percorso di Sandplay Therapy abbia costituito, e continui a essere per questo bambino un importante contenimento (lo “spazio libero e protetto”) e la possibilità di esprimere quelle risorse, inizialmente bloccate, che ora gli permettono di incominciare a comunicare con il mondo, di affrontare più serenamente le nuove situazioni e di iniziare il processo di separazione dalle figure genitoriali.

Nella mattinata di domenica la collega Rosa Napoliello ha presentato due casi clinici di pazienti borderline. Nel primo caso clinico è emersa la necessità “sequenziale” del paziente di suddividere in parti la sabbiera per evidenziare parti separate di sé di cui alla terza sabbia prende consapevolezza  e verbalizza. Si è discusso sull’importanza che ha nel processo terapeutico la costruzione nella sabbiera d’immagini che evocano il mondo interiore e la successiva descrizione attraverso la parola in quanto espressione di una elaborazione ad un livello più elevato di contenuti affettivi altrimenti inconsci e quindi dirompenti. Tuttavia, come appare nel secondo caso presentato ciò non è esente di gravi rischi in casi di pazienti in cui una psicosi possa slatentizzarsi . Si è discusso in questo caso sui limiti del terapeuta e delle difficoltà che il terapeuta si trova ad affrontare.

Al termine della seconda giornata del seminario la collega Mariella Saletti ha presentato in sintesi e parzialmente la terapia Sandplay con una bambina di 5 anni, sofferente di produzioni allucinatorie e con sintomi somatici riferibili ad una dissociazione degli stati emotivi dolorosi. Il percorso terapeutico ha permesso di vedere come la bambina fosse portatrice a livello inconscio di aspetti non risolti dei genitori, a loro volta portatori di una storia personale delicata e complessa. La difficile situazione terapeutica ha trovato un’insperata risorsa d’orientamento e d’aiuto nella comprensione del lato ‘non visto’ di un simbolo ricorrente nel corso della terapia.

Nei disegni spontanei e nelle storie create nella sabbia, la bambina ha portato più volte il personaggio del pavone, da lei stesso identificato secondo l’immaginario comune di rappresentante della vanità. Questa qualità poteva essere inizialmente interpretata come collegata a una componente di narcisismo presente nella bambina, ma il suo ripetersi nel corso dei due anni di terapia, ha chiamato la terapeuta ad interrogarsi su quali altri significati, meno visibili, esso potesse rivestire.

La ricerca simbologica ha portato a una ricca ‘miniera’ di riferimenti etnici, mitologici e religiosi appartenenti alla sfera induista, yazida, greca, ebrea, paleocristiana e medievale. Anche tramite le immagini tratte dalla storia dell’arte e dal mito è stato possibile ricostruire come il pavone, da animale totem sia diventato nel tempo un animale sacro e poi si sia trasmutato nell’imago dell’angelo pavone, dell’angelo guardiano e di quello annunciatore del divino. E’ nell’età moderna che il pavone ha perso ogni significato simbolico per essere identificato solo come sinonimo stereotipato di qualità morali negative.

La riscoperta e il recepimento dei significati originari spirituali del pavone hanno dato una chiave di comprensione inaspettata alla problematica della bambina, hanno permesso di condividere a livello inconscio risonanze e visuali più vicine alla sua sensibilità e natura. Questa esperienza ha indicato l’importanza che riveste il lato non visto o non visibile del simbolo nella terapia dei casi difficili e come le immagini della Sandplay Therapy possano rimandare sia ad aspetti di sofferenza sia alla possibilità di elaborazione di dimensioni interne non viste/vissute dal paziente (e anche dal terapeuta).


Conclusioni

Come nei precedenti incontri si è creato un clima collaborativo e partecipativo nel quale è stato possibile condividere le proprie esperienze terapeutiche e riflessioni teoriche.

Abbiamo nuovamente sentito il valore umano e professionale di questo incontro annuale che sarà organizzato anche per il prossimo anno e al quale sono invitati tutti i colleghi con particolare attenzione ai nuovi soci. Un ringraziamento particolare a Ezia Palma per l’organizzazione dell’evento e a tutti i partecipanti.

Eleonora Tramaloni


 

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L’AISPT, espressione italiana della International Society for Sandplay Therapy ISST, si occupa di formazione, ricerca, condivisione di esperienze e conoscenze sulla psicologia con il metodo del Gioco della Sabbia, all’interno di una rete internazionale che facilita lo studio, la discussione specialistica e lo scambio tra i terapeuti. La Sandplay Therapy fornisce un linguaggio simbolico anche a chi non ha parole per esprimere il proprio malessere, consentendo di rappresentare il mondo interno così come si è costellato.

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