di Stefano Marinucci
Il tema de “la maschera” è’ un tema impegnativo e intrigante perché è dall’inizio del mondo che l’uomo adopera l’artificio della maschera per mettersi in relazione sia con la complessità della realtà che lo circonda, sia per entrare in contatto con il proprio mondo interno.
In questa continua interazione tra realtà diverse la maschera ha avuto moltissime funzioni. L’uomo se ne è servito per nascondere al mondo parti di se stesso, ma anche per negare a se stesso aspetti sgradevoli della propria personalità. Nello stesso tempo la ha utilizzata per ingannare gli altri a proprio favore, ma anche per proteggersi dagli altri, per avvicinare realtà pericolose, fenomeni sacri, realtà potenti e temibili (come nell’uso sacerdotale delle maschere primitive o quelle degli sciamani).
La maschera mostra per ingannare e in questo caso è una finzione che mettendo in contatto false realtà, crea falsi collegamenti, ma, proteggendo l’individuo, permette invece di stabilire relazioni altrimenti impossibili.
Se ci riflettiamo fino in fondo, spesso la maschera è l’unico strumento che ci permette di essere o di sentirci in relazione con il mondo perché raramente possiamo avere un contatto diretto con la realtà intima profonda della natura e degli uomini.
Infatti noi ci troviamo in presenza sempre e soltanto, di rappresentazioni della realtà, con delle maschere appunto, mai con la realtà.
Ma allora le maschere sono tutt’intorno a noi, e tutto può essere usato come una maschera.
Il linguaggio può essere usato come una maschera, il sogno è una maschera, i quadri della Sandplay sono anche essi delle maschere.
Questi sono gli strumenti del nostro lavoro di psicoterapeuti e analisti e se questi strumenti sono rappresentazioni di altre realtà, allora anche il nostro lavoro è una maschera.
Nel nostro lavoro noi dobbiamo cogliere quei barlumi di verità profonda che il paziente lascia filtrare attraverso la maschera con cui si racconta a se stesso e con cui si presenta a noi, e solo attraverso queste tracce possiamo aiutarlo a togliersi le maschere dietro le quali la sua individualità è stata mortificata dagli schemi di adattamento al collettivo.
Siamo consapevoli che il paziente cerca delle risposte, ma spesso si fa le domande sbagliate. Il nostro lavoro quindi, non consiste nel dare risposte al paziente perché non faremmo altro che sovrapporre le nostre maschere alle sue. Consiste invece, nell’insegnare al paziente a farsi le domande giuste, imparando a togliersi da solo le proprie maschere. Di queste domande, autentiche stavolta, solo lui conosce le risposte, queste si non più celate dietro a nuove maschere.
Nel fare il nostro lavoro anche noi utilizziamo maschere, diverse, flessibili, ma a differenza del paziente le nostre devono essere consapevoli. Quando non lo sono non possiamo cogliere la realtà psichica che abbiamo di fronte. Un esempio di queste maschere utili è il transfert.
Ecco allora che diventa importante imparare a conoscere bene le maschere del paziente e le nostre, sia quelle che servono per ingannare, sia quelle che ci aiutano a svelare, ricordandoci sempre che, se, comunque le maschere sono una funzione psichica necessaria, abbiamo il potere di usarle per “creare anima” invece di manipolarla.