Recensione del libro “I figli nelle separazioni conflittuali e nella (cosiddetta) PAS (Sindrome da alienazione genitoriale)”

di Maria Claudia Loreti

“I figli nelle separazioni conflittuali e nella (cosiddetta) PAS (Sindrome da alienazione genitoriale). Massacro psicologico e possibilità di riparazione. Ed. Franco Angeli, 2014.

 

Questo libro rappresenta un contributo di studio ricerca e clinica sulla questione dolorosa e spesso insanabile della gravissima sofferenza che incontriamo nei casi dei minori nelle separazioni conflittuali e in particolare nella cosiddetta PAS, ( sindrome di alienazione genitoriale), definita da Gardner nel 1989 come: ” manovre attuate con successo dal genitore affidatario per alienare il figlio dal genitore non residente; il bambino dopo essere stato sottoposto a un efficace condizionamento, è dominato dall’idea di denigrare e disapprovare uno dei genitori in modo ingiustificato e/o esagerato” e ne rifiuta la frequentazione (Gullotta, 2008).

 

Ci sono molte questioni e controversie intorno alle caratteristiche di questa diagnosi complessa, che coinvolge bambini e genitori in un dramma attuale di una storia pregressa intessuta di dinamiche patologiche rintracciabili già prima della nascita dei figli. Montecchi discute sui numerosi punti di vista critici, e soprattutto mette in evidenza che la definizione della PAS nasce da una visione adulto centrica e non riconosce adeguatamente il disagio emotivo dei minori che svolgono un ruolo attivo nella dinamica familiare. Di fatto, si configura come una diagnosi del sistema familiare che ha radici trans-generazionali nell’alta conflittualità dei genitori e, oltrepassando la “catena trigenerazionale” (Minuchin e col.,1978), giunge fino ad un livello psichico trans-personale dell’inconscio collettivo. Da questo punto di vista anche Jung può essere considerato un precursore della “catena trans generazionale” con la teoria dell’inconscio collettivo e degli archetipi, fra i quali fondamentali sono gli archetipi genitoriali della Grande Madre, del Padre e del Fanciullo, dell’Ombra e dell’Anima. In questa prospettiva esiste un progetto di sviluppo proprio di ciascun individuo insito nell’archetipo del Sé, la cui realizzazione può essere ostacolata o facilitata dalle circostanze della vita. Funzione della terapia analitica è proprio quella di incontrare la sofferenza, dare senso e significato, attivando così risorse d’individuazione.

 

L’eredità psicogenetica viene sviluppata anche da analisti postfreudiani: Kaés, Faimberg, Enriquez e Baranes, Ferro e Meregnani, i quali sostengono che la trasmissione trans-generazionale comprende anche l’esperienze non mentalizzate che costituiscono il lascito negativo, nascosto e segreto, e che rimandano chi nasce a doversi confrontare con l’inconscio familiare degli antenati e del clan di appartenenza. Ciò che viene trasmesso è la mancata elaborazione di eventi traumatici che sono trasferiti attraverso meccanismi inconsci primitivi di identificazione proiettiva particolare e vengono incorporati come “presenza aliena” che viene traslocata in oggetti esterni come un partner o un figlio. Il periodo della gravidanza diventa un anello di congiunzione fra generazioni e costella emotività e attese per l’arrivo del nascituro da parte dei genitori e delle famiglie. L’autore esamina dettagliatamente dal punto di vista clinico e secondo varie prospettive analitiche, tutte le varie possibilità dei vissuti materni e paterni su cui riflettere, dalla normalità alla patologia: presenza o assenza di fantasie, danno genetico, angosce di morte, funzione paterna in gravidanza. Una prevenzione possibile è il lavoro con le coppie in attesa, volto all’ascolto e alla ricerca del senso profondo della loro unione e di come il figlio s’inserisca nei motivi della loro unione.

 

In un capitolo specifico Ludovica Iesu esamina dal punto di vista relazionale il ciclo vitale della famiglia nei vari eventi nella normalità e nella separazione conflittuale. Cosa avviene nell’aspetto emotivo dei bambini nelle separazioni ad alta conflittualità? Montecchi spiega come l’elemento patologizzante non sia la separazione in sé, ma la qualità e il tipo della relazione di coppia che sostiene il conflitto violento e slatentizza il suo potenziale perverso e patologico durante e dopo la separazione avvenuta, a volte per anni. I figli vengono strumentalizzati ai fini della separazione, per la richiesta di un risarcimento economico ma soprattutto psicologico (sindrome da indennizzo), per soddisfare il rancore e la rabbia verso l’ex coniuge. Spesso i genitori contagiano psichicamente con la loro emotività dilagante i bambini e non si accorgono di quanto dolore ed impotenza essi vivano. I figli si colpevolizzano della separazione, fantasticano riappacificazione e idealmente tentano di tenerli uniti, almeno dentro come immagini interne. Nel passaggio da un genitore all’altro durante gli incontri previsti, il bambino sperimenta penosi sentimenti di abbandono del genitore che lascia e si sente devastato dal senso di colpa perché magari è stato bene anche coll’altro genitore e teme che il suo affetto tradisca il genitore con cui vive.

 

Spesso l’iter processuale inasprisce il conflitto e diviene sintonico con il comportamento disfunzionale della coppia, innescando un crescendo di azioni verso una vittoria legale che tende a soddisfare bisogni pulsionali e perversi della coppia in una sorta di soddisfazione erotica. La contesa legale è preferita ad in intervento terapeutico che porterebbe alla comprensione del conflitto di coppia come sintomo e disagio psichico, liberando così i figli dalle proiezioni, dal danno psichico e dai traumi relativi all’abuso a cui sono sottoposti. Nella PAS i bambini rifiutano di vedere e frequentare il genitore che considerano “cattivo, colpevole e talvolta abusante”. Le rappresentazioni mentali dei genitori e delle famiglie di origine diventano una mappa emotiva che permette di leggere la sofferenza attuale: tutto ciò emerge dai casi clinici presentati, ove si ripropone in una sorta di coazione a ripetere drammi antichi. Un aspetto interessante del libro è la focalizzazione sulla specificità clinica e psicodinamica ove emerge che i bambini sono parte attiva e non solo passivi protagonisti manipolati. Le origini del disagio risalgono alla gravidanza, nei primi anni di vita e nei conflitti inespressi della coppia. Questi bambini sono assenti nella mente dei genitori, non hanno potuto fare passaggi di differenziazione e spesso sono ancora come un’emanazione del corpo materno in quanto il paterno debole non è riuscito a sciogliere la simbiosi originaria: frequentemente si rileva un rapporto fusionale con la madre idealizzata e l’esclusione del padre a cui non si può arrivare. Anche nella separazione non sono riconosciuti nella loro realtà e nei loro bisogni evolutivi. L’alta conflittualità e la rottura del legame tra i genitori fanno emergere nel bimbo difese arcaiche rigide e patologiche di regressione, scissione, proiezione, idealizzazione, distanziamento affettivo, distorsione dei processi di memoria, il Falso Sé e il Come Sé. Ciò determina gravi difficoltà di attaccamento e relazione nei legami affettivi che potrà influenzare tutta la vita futura. Nei casi di separazione conflittuale il bambino presenta un funzionamento di tipo nevrotico, nei casi di PAS invece è di tipo psicotico e perverso. Il problema nasce dal fatto che il bambino non solo attacca il genitore reale ma soprattutto danneggia la corrispondente immagine interna che a sua volta mina anche l’immagine dell’altro genitore di cui inconsciamente non ci si può fidare. Tutto questo vissuto protratto nel tempo si configura come un abuso all’infanzia, che danneggia la struttura di personalità del bambino con gravi conseguenze nella vita emotiva, affettiva e sociale.

 

Interessanti sono le riflessioni di Loredana Alecci sulla regolazione affettiva del bambino e gli stili di attaccamento dalla normalità e alla patologia specifica e soprattutto quali interventi psicoterapeutici possono risultare efficaci. Concetta Di Bartolomeo approfondisce l’aspetto della diagnosi dei bambini PAS con l’uso dei test proiettivi e in un altro capitolo Rita Pippo parla della mediazione terapeutica fra genitore e figlio negli aspetti teorici e clinici.

 

Da sottolineare, come sempre, sono i casi clinici dei bambini documentati attraverso le immagini nella Sandplay che colpiscono per l’intensità e la dinamica dei simboli che li rappresentano nella sofferenza profonda, nei traumi e nelle potenzialità di cura.

 

Viene messa in luce inoltre la difficoltà dell’intervento proprio già all’inizio, intorno alla questione della domanda, che viene posta dalla Magistratura la quale prescrive ai Servizi l’intervento terapeutico. Un percorso terapeutico non può essere validamente fatto su prescrizione di un giudice: occorre stabilire un’alleanza terapeutica e questo concerne già una preliminare difficile fase di lavoro con i genitori e con il bambino. C’è una possibilità di cura solo se si riesce a dirimere le attese e le proiezioni che invadono il campo terapeutico già prima d’iniziare la consultazione. Occorre inoltre proteggere il setting dalle richieste della Magistratura e dai Servizi sociali che spesso inconsciamente vanno a colludere con la patologia conflittuale della coppia contrapposta (Malagoli Togliatti, Lubrano Lavareda, 2012), destinando l’intervento al fallimento.  Si apprende spesso dagli insuccessi, infatti, dopo molte riflessioni critiche e revisioni dei modelli operativi, Montecchi propone un modello clinico psicodinamico in cui è chiaro che “l’esperto incaricato al sostegno e al trattamento deve essere distinto da chi deve fare la valutazione ai fini giudiziari.” Quindi mentre prima era il Sistema giudiziario ad essere il centro del sistema dei diversi interventi, ora al centro si pone un ente indipendente che ha come obiettivo prioritario la cura e la tutela del minore come il garante dell’infanzia o il curatore speciale. In questo modo è possibile raggiungere una consonanza tra le diverse competenze professionali coinvolte: il sistema giudiziario, la rete dei servizi, il mediatore familiare che si occupa della coppia disfunzionale, il contesto familiare seguito dal suo terapeuta, il mondo interno del bambino protetto dal terapeuta dell’infanzia.

 

Così il bambino diventa obiettivo principale della cura in un intervento multifocale ed integrato. Il compito del clinico terapeuta non è accertare la verità o dire chi ha torto o ragione, ma accogliere, comprendere e dare senso e significato all’agito e al sintomo per trasformarli in pensiero. La difficoltà del clinico consiste nel tollerare le emozioni primarie devastanti, la sofferenza indicibile e l’impensabilità che s’incontra durante lo svolgersi della terapia nella complessità della natura umana e nel confronto con l’Ombra. Per tutti gli operatori che si occupano delle questioni esaminate, ma anche per tutte le persone interessate a comprendere la sofferenza umana, è un libro da leggere su cui riflettere, perché esprime il dolore profondo di una società alienata e alienante, incapace di comunicare e di trasmettere il valore dell’amore, della comprensione e del dialogo alle generazioni future.

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