Recensione del libro “Jung”, a cura di Marco Garzonio

di Maria Claudia Loreti

“Jung” a cura di Marco Garzonio. Edito nella collana Grandangolo vol.29 del Corriere della Sera, agosto 2014.

Il libro a cura di Marco Garzonio su JUNG, è piccolo come un bignami, ma appassionante come un romanzo, ed accompagna il lettore ad entrare nella storia culturale del pensiero e della psicoanalisi nel passaggio dalla fine dell’Ottocento al Novecento attraverso la storia personale di Carl Gustav Jung dall’ infanzia solitaria e triste, alla gioventù di brillante psichiatra e alla maturità dello studioso e ricercatore appassionato per tutta la vita. Permette di conoscere l’uomo, il medico e lo scienziato nella storia individuale, intessuta di relazioni significative con grandi pensatori che hanno caratterizzato il passaggio della ricerca scientifica e del pensiero fino alla prima metà del secolo scorso esaminandone in un prospetto riassuntivo i fatti salenti nel mondo storico politico culturale, nella filosofia, nella letteratura e nelle arti, nella scienza e nella tecnica creando un tessuto di comprensione interconnesso con la storia individuale del personaggio e il pensiero dello spirito del tempo. Jung si trovò a vivere pienamente il momento storico che trasformò la psichiatria da disciplina che studiava la mente da un punto di vista “elettromeccanico”, in studio della psiche, inserendosi nel filone di ricerca iniziata nel 1873 con Chargot a Parigi con gli studi sull’isteria e continuata da Jung stesso quando nel 1900 entrò nell’istituto psichiatrico Burghòlzli di Zurigo diretto da Bleuler, ricercatore pioneristico che coniò il termine “schizofrenia”. Egli comprese che “le idee deliranti e allucinazioni non erano proprio sintomi specifici di malattie mentali, ma avevano un significato umano” e altamente significativo per i pazienti. Sviluppò il test sulle libere associazioni e dimostrò che queste consentivano di aprire una finestra sul mondo interiore ed angosciato del malato mentale e delineò la teoria dei “complessi” termine ormai di uso comune. Questi risultati spinsero Jung a scrivere nel 1906 a Freud: i due grandi pensatori s’incontrarono e nacque fra loro una reciproca attrazione e una relazione molto feconda per entrambi anche se problematica. Il rapporto fra Freud e Jung viene messo ben in evidenza nella sua complessità e nella passione comune per la ricerca nella psicologia del profondo. Emergono con chiarezza le differenze di pensiero e di carattere che portarono alla separazione: la psicologia analitica si differenzia profondamente dalla psicoanalisi di Freud, e Garzonio sottolinea in più punti che Jung non fu mai allievo, ma collega del più anziano maestro che lo aveva idealmente scelto come colui che poteva rappresentare e far accettare la psicoanalisi nel mondo di allora. Ma Jung dopo il viaggio in America con Freud e Ferenci, pubblicò nel 1912 “Trasformazioni e simboli della libido”, in cui espose la propria visione teorica della psiche, differenziandosi da quella freudiana: sosteneva che, in base alla sua esperienza, il “concetto di libido” andava ben oltre la visione riduttiva sessuale, essendo invece un’energia psichica generale che sottende ogni attività umana. Inoltre al di là dell’“inconscio personale”, egli dimostrava la presenza e l’azione nella psiche di un “inconscio collettivo” che esiste già alla nascita ed è portatore d’immagini primordiali e mitiche appartenenti all’umanità.

Questo pensiero così divergente portò alla rottura fra i due: Jung nel 1913 aveva solo 38 anni ed era all’apice della sua carriera, presidente dell’Associazione di Psicoanalisi Internazionale e direttore dello Jahrbuch fϋr psycopathologische und psychoanlytsche Forschungen, la rivista ufficiale della società. Si dimise da tutti gli incarichi, lasciando anche l’insegnamento che teneva sulla Psicoanalisi presso l’Università di Zurigo.

Jung si era sposato nel 1903 con Emma Rauschenbach, fedele compagna di tutta la sua vita, da cui ebbe cinque figli e che diventò essa stessa analista. Jung visse pienamente la storia del suo tempo nelle luci e nelle ombre e soprattutto fu in grado di sopportare le tensioni e i confitti che emergevano dalla profondità del suo essere cercando dentro di sé e attraverso il rapporto con le immagini, il senso della sofferenza. Si ritirò dalla vita pubblica e, per curare se stesso, cominciò a scrivere il Libro Rosso, pubblicato recentemente nel 2010, che rappresenta una testimonianza viva del percorso della malattia creativa e della cura attraverso l’esperienza con le immagini che guidavano il processo che egli chiamo poi d’ individuazione.

Garzonio torna più volte sul Libro Rosso e ne fa una interessante presentazione: è il Liber Novus, cioè il libro della trasformazione e della rinascita alla vita nuova che segue la discesa agli inferi nel confronto spietato con i suoi contenuti e con le immagini che emergono dall’Inconscio e prendono corpo e parola nel teatro della psiche. Jung prese molto seriamente queste immagini: la sua natura appassionata lo portava al confronto con esse e la sua formazione scientifica Kantiana lo spingeva ad annotare meticolosamente ogni aspetto di questa esperienza da cui in seguito enucleò i fondamenti teorici della psicologia analitica: gli archetipi, l’Ombra, l’Anima e il processo di individuazione che “mito personale” e trama del pensiero junghiano. Il processo di individuazione ripropone in chiave moderna un mito antico nella ricerca del proprio sé, che avverte come bisogno profondo il differenziarsi dalle norme condivise nel collettivo dominante per scoprire e realizzare quel “conosci te stesso”, inciso sul tempio di apollo a Delfi, motivo mitico dell’uomo che misura la sua libertà con l’autorità e il potere degli dei, sperimentando la propria finitezza e i propri limiti. Jung nel Libro Rosso scrive: “perfino le persone più care non sono la metà e il fine della ricerca d’amore, ma simbolo della nostra anima”.

Garzonio sottolinea che quest’opera si inscrive nel genere letterario apocalittico che caratterizza il passaggio della fine dell’antichità e l’avvento dell’era cristiana che ebbe grande fortuna nell’ambiente giudaico, nelle prime comunità cristiane e negli ambienti gnostici. Il termine apocalittico non significa catastrofico ma vuole indicare una “rivelazione di tempi nuovi”. Molto interessante è come procede l’autore nel presentare storicamente la vita di Jung nella sua unicità e nelle profonde relazioni affettive nella vita privata (come quella con Sabina Spielrein e poi con Toni Wolff) e in quella pubblica, in una sorta di pensiero storico lineare e contemporaneamente circolare sottolineando ricerche e studi significativi sulla specificità del pensiero junghiano che si evidenzia ad esempio nel libro Trasformazioni e Simboli della Libido del 1912 che Jung rielabora durante tutta la vita fino al 1952 quando lo pubblica con il titolo Simboli della Trasformazione. Emergono con chiarezza i concetti specifici sul sogno dotato d’intenzionalità e finalizzazione, sulla creatività dell’inconscio, sul simbolo con una funzione finalistica di trasformazione attraverso l’unione dei contrari, sull’immagine che è il “modo di pensare l’impensabile”.

Garzonio presenta il pensiero junghiano facendo dei focus: sugli studi dell’Alchimia iniziati nel 1914 nei quali egli intuisce che la trasformazione che stava avvenendo in lui con la morte del vecchio Jung prigioniero dello “spirito del tempo” al nuovo Jung liberato attraverso l’esperienza e il contatto dello “spirito del profondo” era simile a ciò che avveniva nel processo alchemico di trasformazione dei testi degli alchimisti; sui Tipi Psicologici pubblicato nel 1921, sui Sogni, sulla Coscienza, sulla Pratica della Psicoterapia in cui emerge l’etica e la responsabilità nei confronti della storia e del destino dell’uomo perché al massimo dell’individualità corrisponde il massimo della socialità.

Sottolinea gli influssi dell’apporto originale del pensiero di Jung nel controtransfert, nel gioco e in particolare nella terapia del gioco della sabbia di Dora Kalff che Jung stesso sostenne negli anni ’50 per realizzare una terapia adatta ai bambini. Le idee di Jung sul e la mente come teatro sono state feconde nel pensiero di altri analisti che hanno proseguito la ricerca come H. Kohut con la Psicologia del Sé; S. Resnik che sviluppa l’intuizione di Jung nel suo libro Il Tetro del Sogno; J. Grotowski il drammaturgo del teatro d’avanguardia del 1900; la scuola di ricerca spirituale di Eranos e gl’incontri fecondi di Jung con W. Pauli, dal loro rapporto nacquero gli studi sulla sincronicità; con R. Wilhelm sinologo studioso della sapienza cinese, che pubblicò “I Ching”, di cui Jung fece l’introduzione; con K. Kerényi con il quale scrisse Prolegomeni ad uno studio scientifico della mitologia; con E. Neumann che approfondì due filoni di ricerca sulla Grande Madre e la Storia dell’origine della coscienza.

Segue un capitolo speciale sugli amici e nemici di Jung che è interessante leggere e approfondire Ci sono riferimenti bibliografici sulle opere di Jung e su altri autori che hanno scritto sul suo pensiero, ed indicazioni su Jung in letteratura, nei film, e infine ci sono gli indirizzi sul web delle associazioni junghiane.

In definitiva Garzonio, con la sua competenza letteraria e didattica, riesce a far entrare chi legge nella complessità del pensiero junghiano e nel desiderio di approfondirlo.

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