Ricordando Adriana Mazzarella
di Sonia Giorgi
Ho conosciuto Adriana Mazzarella negli anni Novanta nell’ambito della mia prima formazione come Psicologo del Profondo, proprio nella veste di appassionata esegeta dantesca. Il privilegio di frequentarla l’ho potuto esercitare nei molti anni in cui ho fatto parte del gruppo di ricercatori che ha periodicamente riunito nella propria casa al fine di incontrare Dieter Baumann e, da ultimo, nel percorso di analisi col metodo del Sandplay.
In quell’epoca non sapevo nulla della sua lunga ricerca e di lei, ma sapevo cosa aveva significato e continuava a significare per me l’incontro col nostro maggiore poeta: un lungo, appassionante, impegnativo percorso dentro un testo, e un’epoca, centrali nella mia prima formazione di studente e poi di docente di Letteratura italiana; Dante, per me, un eroe della conoscenza, dell’etica, della prassi politica. E tanto bastò ad incuriosirmi, e ad indurmi ad accostare l’interpretazione di Mazzarella.
In quel preciso momento del mio appassionato e pressoché quotidiano dialogo con questo Autore, incontrare Mazzarella è stato per me qualcosa che, nel tempo, ho sentito come significativo in senso sincronico.
Mentre nella mia formazione come terapeuta venivo introdotta nella esegesi del mondo, e nella modalità della cura, secondo gli insegnamenti di Carl Gustav Jung, Mazzarella, con il suo antico e appassionato approccio a Dante guidato dal viatico junghiano, ha contribuito a fornirmi la conferma di un mio sentire: la continuità di uno sguardo, la contiguità fra ascolto della Letteratura, e dell’Arte, e ascolto dell’Anima. Ho potuto così traslare quella summa del sapere, personale e di un’epoca, la Commedia dantesca, di cui sentivo la modernità e l’urgenza di comunicarla, in un rinnovato modo di dire, attuale, intimo ed efficace.
Mazzarella ha saputo offrire, con la straordinaria capacità di sintesi che caratterizzava il suo magistero anche come didatta (con quella semplificazione di grande profondità, che non è semplicismo ma, come ben illustrano le parole di Michelangelo a proposito della scultura, opera a togliere), una visio del Padre della Letteratura insieme nuova e pure collocabile in una lunga tradizione. Addentrandosi nella selva di tale esegesi, aveva saputo servirsi della guida dello Jung più profondo e innovativo, quello che è stato capace di entrare in relazione con le immagini fino a sottomettersi al potere loro, e dell’immaginario, perché nella autonomia di cui vivono potessero farsi via di espressione al processo di individuazione: la ricerca di significato, personale e collettiva, possibile agli esseri umani.
Dieter Baumann, nella propria presentazione del volume, sottolinea come il libro abbia la propria ragione d’essere e la sua potenza proprio nell’incoraggiare il singolo a ritrovare fiducia nella propria anima e nel proprio sentimento come unica possibilità di dare incoraggiamento all’”uomo morale” che vive in ciascuno di noi, (…) onde affrontare l’avventura creativa della propria vita, vissuta alla ricerca del “senso”, affinché tale continua lotta per la conoscenza di sé e del mondo contribuisca alla sopravvivenza della vita su questo globo.
Anche Mazzarella, nella prefazione, afferma che l’opera di Dante, che definisce, sulla scorta dell’autore stesso, “polisensa”, ha bisogno di sempre nuove esegesi non per solo piacere e interesse euristico, ma per ricomporre ogni volta la sintesi dello spirito umano che continuamente si modifica al fine di recuperare dal passato e dai suoi maestri gli strumenti usati (…) per le loro sintesi, per tradurlo in parole comprensibili allo spirito dell’umanità di oggi. Dante, secondo l’autrice, ci porta alla conoscenza di come siamo fatti, onde arrivare ad una trasformazione in primo luogo personale, ma anche collettiva e comunitaria. Si tratta dunque di abbracciare una visione politica in senso alto, del muoversi del singolo nel mondo, che – sempre con le parole di Mazzarella – poggia su principi quali la disciplina e la giustizia del governo dei popoli, il superamento degli egoismi individuali e collettivi per consentire il dispiegarsi creativo delle qualità di ogni razza, nazione, individuo, soli principi ideali, connessi al Sacro, affidandoci ai quali possa essere letta e modificata la attuale situazione caratterizzata dal caos, dai mutamenti come dalla sofferenza degli esseri umani, così simile a quella dei tempi di Dante stesso.
Riflessione etica e azione nel mondo a partire dalla scoperta di sé, andare verso un cammino di interiorizzazione che inizi al mondo, per se stessi e per tornare al mondo: medesimo fine e procedimento del processo di individuazione junghiano, percorrere il quale rende tanto più collettivi, umanamente simili, e in relazione con l’Altro, tanto più si diviene pienamente se stessi. Avere contribuito a ricordare che riconnettersi ai Maestri attraverso i lasciti del loro immaginario, in particolare a quello più vicino alle proprie radici, vivere una vita responsabile e degna per sé e la collettività, è oggi indispensabile e vitale credo sia un grande lascito di Mazzarella.
Vorrei aggiungere che la scelta che Mazzarella ha fatto di esercitare la propria esegesi su un autore come Dante non è affatto scontata, anzi io vedrei in essa proprio un atto estremamente innovativo, creativo e significante per due ordini di motivi.
In primo luogo perché Dante nel nostro paese, pur essendo imposto nelle scuole e oggetto di studi specialistici ed eruditi in quanto “padre della lingua italiana”, paradossalmente è un autore in realtà per nulla di conoscenza diffusa e vorrei quasi dire non amato. Le motivazioni sono, a mio parere, diverse: la difficoltà di lettura, progressivamente maggiore nelle tre cantiche e soprattutto dell’ultima, la necessità di approfondimenti che implicano un approccio e un procedere particolarmente lento proprio perché abbisognano della costruzione di un sapere enciclopedico all’altezza di quello esibito dall’Autore, forse pure l’imposizione stessa a leggerlo; ma importanti sono anche i motivi ideologici: una visione del mondo considerata obsoleta, in particolare rispetto al ruolo centrale che in essa hanno il sacro e il simbolo, anzi addirittura il religioso, e specificamente la religiosità cristiana di cui Dante fu in grado di operare una estesa e complessa sintesi, capace di tenere insieme in modo aperto il confessionale come pure l’eretico.
Mazzarella ha portato su Dante uno sguardo in grado di andare oltre il suo posizionamento nell’epoca e nella religione cristiana, uno sguardo insieme laico e autenticamente religioso che considerava, come del resto era stato per Dora Kalff, l’apertura al Sacro come imprescindibile viatico alla pienezza e al ritrovamento del Significato, riconnettendosi al quale gli esseri umani potessero ritrovare un Centro e una Via.
Di più: orientare lo sguardo verso Dante fa di Mazzarella una esploratrice del patrimonio che è proprio non solo dell’Occidente medievale e delle sue origini cristiane, ma in particolare della nostra anima italiana, dei caratteri dell’italianità. È dare la possibilità di capirsi, e capire l’oggi della Nazione e della Coscienza collettiva che in essa si esprime, scrutando nel passato attraverso gli occhi di un grande autore che, grazie alla potenza della sua parola poetica, ha saputo trasmettere fino ad oggi l’espressione del genius loci più nostro. Nel medesimo tempo è prendere sul serio e dare attuazione all’espressione di quella sezione, originale, della ricerca che ha portato Jung a postulare l’esistenza di una Coscienza e di un Inconscio collettivi, conferendo loro un ruolo altrettanto, se non maggiormente, importante nella vita degli esseri umani, rispetto a coscienza e inconscio personali: in particolare di quello specifico portato della coscienza collettiva a cui diamo il nome di Cultura. La riscoperta e la difesa della luce del dio cristiano rivelato al mondo come datore di Senso credo, dunque, sia uno degli aspetti più importanti del commento di Mazzarella: non recupero storico, ma simbolico per l’anima italiana.
Il secondo motivo della significatività della ricerca è, a mio parere, proprio che Mazzarella lavora in chiave junghiana sul mito cristiano: nel mondo analitico che, nato in ambiente nordico protestante ha preferito esercitare il proprio sguardo simbolico sulla fiaba, sull’alchimia, fino a spingersi alle origini meridionali del sentire e del riflettere catturato dai miti greci, Mazzarella ha additato come costitutivo, e levato dall’oscurità del rimosso, il valore odierno e vivo del sentimento cristiano come si è venuto elaborando in chiave mediterranea.
Un ulteriore tratto significativo della relazione di Mazzarella col testo di Dante sta, a mio modo di vedere, nella forma del suo approccio ad esso.
Occorre premettere che in Alla ricerca di Beatrice può essere constata la frequentazione di tutti gli strumenti più importanti della Critica (a partire dai manuali chiosati linguisticamente e storicamente fino a testi critici di autorevoli singoli commentatori), in particolare di quella assai controversa definita esoterica, una bibliografia quest’ultima particolarmente esaustiva e aggiornata, fino ad includere il testo maggiormente polemico verso tale filone di ricerca, L’Idea deforme. Interpretazioni esoteriche di Dante [1]: basta leggere le note o i riferimenti espliciti all’interno del testo e, anche in assenza di una bibliografia organizzata finale, si ha una chiara idea dell’approfondimento, de il lungo studio e il grande amore, dell’autrice, il che fa del suo lavoro un’opera per nulla dalle affermazioni personalistiche o intuitive e non verificate e confrontate criticamente.
Ma, più significativo, Mazzarella affronta il testo di Dante dando dignità di realtà alle parole in esso pronunciate dal poeta: l’immaginario ha sostanza di realtà, e con esso occorre dialogare con serietà e paritariamente. È certamente questo atteggiamento frutto della pratica della lezione junghiana che vuole che così si proceda coi sogni, nell’immaginazione attiva. Ma corrisponde nel profondo alla richiesta dell’autore stesso che voleva la propria Commedia letta secondo il canone complesso applicato alla Bibbia: una lettura che noi oggi chiamiamo, appunto, simbolica. Del resto, fin dalla prima pubblicazione della Commedia, da un lato Dante stesso, nella propria affabulazione, esplicita come la propria esperienza di vita e pensiero, e la decisione di scriverne, non siano autonome e narcisistiche affermazioni di sé ma costituiscano la sostanza della missione a lui prescritta da Dio stesso per la salvezza dell’umanità; allo stesso tempo il suo dettato letterario e poetico non viene assunto come finzione letteraria (come nella modernità laica), ma viene preso dai lettori a lui contemporanei “alla lettera”. Dante infatti, ancora in vita, è considerato un Maestro, anzi un Illuminato nelle secrete cose, e consultato come sapiente circa i temi più disparati, al punto che la Commedia, come la Bibbia, veniva usata come testo di divinazione: formulato nel proprio intimo un quesito, il volume veniva aperto a caso e alla cieca un dito segnava una terzina, nella convinzione che si sarebbe trovata risposta alla propria impellente domanda.
Anche nell’approccio al testo, dunque, Mazzarella procede in maniera da un lato tradizionale e dall’altro innovativa: è tradizionale, inserendosi a pieno titolo in un filone critico consolidato e autorevole; è innovativa nel suo tentativo di non limitarsi ad una conoscenza erudita e approvata del testo, ma avendo un approccio ad esso aperto e finalizzato a vivificarne e attualizzarne la lettura col decidere di proporlo come un percorso iniziatico per immagini, in linea, in questo modo, anche con l’impostazione culturale di Carl Gustav Jung.
Alberto Asor Rosa, uno fra i critici letterari di maggior prestigio, con l’intento di riflettere sul tema dell’interpretazione e delle sue forme, all’interno del volume citato fortemente avverso all’eventualità di un possibile esoterismo dantesco e di una sua relativa lettura stratificata e simbolica (la proposta anche di Mazzarella, se pur nella chiave della Psicologia del Profondo), afferma che, se pure gli interpreti “esoterici” di Dante [2] rappresentano un esempio mirabile di quell’”eccesso” nelle “pratiche di interpretazione sospettosa” pur tuttavia non si può negare che nel loro insieme costituiscano un esempio raro di “tradizione trasgressiva”, che s’affianca, distinguendosene pienamente, alla tradizione critica “razionale”. E aggiunge [3] che i motivi che giustificano un’interpretazione simbolica del testo dantesco più di ogni altro sono che la Commedia è l’opera letteraria che, in assoluto, contempla nella sua stessa struttura la presenza maggiore di strati diversi di discorso; inoltre afferma che Dante ha voluto la sua opera così (…) perché la poesia (…) rampolla già alla radice (…) sotto forma di discorso plurimo e che [4] c’è una curiosità, una voglia di sapere, che il testo dantesco stesso ha autorizzato. L’intuizione, e poi la pratica, di tale forma interpretativa da parte di Mazzarella si inserirebbe dunque, ancora una volta, a pieno titolo in una lettura avallata criticamente e, insieme, innovativa in senso trasgressivo.
Dante (in Convivio, II, I) afferma che ogni testo che si proponga di attuare il percorso ambizioso che abbiamo delineato è frutto di una elaborazione complessa: Le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi. L’uno si chiama litterale, e questo è quello che non si stende più oltre che la lettera delle parole fittizie, sì come le favole delli poeti. L’altro si chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto ‘l manto di queste favole, ed è una veritade ascosta sotto bella menzogna (…). Lo terzo senso si chiama morale, e questo è quello che li lettori deono intentamente andare appostando per le scritture, sì come appostare si può nello Evangelio (…). Lo quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso; e questo è quanto spiritualmente si pone una scrittura (…). Si scrive, e si legge, dunque un’opera sapienziale in modo da associare la lettera del testo ad un sovrasenso simbolico, così da poter agire eticamente nel mondo, per la elevazione della propria anima attraverso una tensione spirituale e celeste.
Mazzarella enfatizza proprio tale procedura nella propria lettura.
In Alla ricerca di Beatrice vediamo sottolineato come Dante, rappresentante dell’umanità tutta, intraprenda un viaggio iniziatico, all’indirizzo della propria Anima e del Senso, costellato di morti e rinascite che Mazzarella sottolinea: a partire dalla prima di esse, di fronte alle bocche dell’Inferno, il ritrovarsi nella selva inteso come trovarsi di nuovo/rinascere. Tale cammino riuscirà a riconnettere il protagonista alla visione sintetica, orientata al Sé nel linguaggio della Psicologia del Profondo, attraverso il rifiuto della seduzione fine a se stessa dei sensi e della materia, della emotività, del pensiero fraudolento, passando dal soddisfacimento dei bisogni momentanei al fine ultimo della metanoia che scala il Male e ne riemerge rinnovatosi. Medesimo il percorso in Purgatorio: rinascita, purificazione dall’ombra e battesimo per una nuova vita, umana davvero perché libera, in cui cada la identificazione con le qualità negative; una trasformazione che necessita del tempo, lo scorrere del quale porta ad assumere una consapevolezza umana più piena grazie alla conciliazione degli opposti, meta colta raggiungendo il Paradiso Terrestre (definito appunto per tale ragione il luogo fatto per proprio dell’umana spezie), dove Virgilio potrà dire a Dante, consegnandogli sovranità morale e spirituale: Io te sovra te corono e mitrio. In questo luogo dell’anima, afferma Mazzarella, si risolve dunque il conflitto orizzontale ma non quello verticale, qui ha fine l’esplorazione secondo le possibilità culturali e umane, rappresentata da Virgilio e da scrittori e filosofi antichi che vivono passaggi iniziatici ma non Fede, Speranza e Carità che Mazzarella definisce quali portati non biologici. Inizia il viaggio nello Spirito secondo il messaggio cristiano, e Dante, guidato dalla propria Anima beatificante e da San Bernardo suo promotore, può addentrarsi nel mistero divino. Nell’Epilogo del libro, Mazzarella ci ricorda che Dante ha fatto l’esperienza del Dio vivente e, pur sentendo che le cause del male del mondo vanno cercate all’interno dell’uomo stesso, avverte anche che nell’uomo è presente un istinto (…) che porta l’uomo a quello che Jung chiama “processo di individuazione”: Dante ci addita la presa di coscienza come precipuo compito dell’uomo: un percorso culturale e della volontà, dunque. Ma, insieme, sottolinea Mazzarella, Dante incentra la propria visione sull’amore: il vero amore passa attraverso l’esperienza della perdita, del dolore, della morte come quella di Cristo (…). Solo dopo un così grave passaggio si può rinascere a una nuova visione.
Mazzarella ci dice che questa è la via che Dante, e Jung con lui, continua ad additare dal mondo dei morti.
Afferma Jung (in Ricordi, sogni e riflessioni, p. 235), e Mazzarella appone tale affermazione in calce al libro: Per me i morti sono divenuti sempre più chiaramente le voci dell’Inesplicabile, dell’Irrisolto, dell’Irredento e aggiunge: la concezione della vita oltre la morte (…) è un’eredità antichissima dell’umanità: un archetipo, ricco di vita segreta, che potrebbe ricongiungersi alla nostra vita individuale allo scopo di renderla completa (ibidem, p.357).
A tale eredità è ormai consegnata, e appartiene, anche Mazzarella.
Da lì continua a mostrarci un percorso sapienziale, da Iniziata, a Dante e a Jung, per il dono del quale dobbiamo portarle infinita gratitudine.
[1] A.A.V.V., L’Idea deforme. Interpretazioni esoteriche di Dante a cura di Maria Pia Pozzato. Introduzione di Umberto Eco. Postfazione di Alberto Asor Rosa, gruppo editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas S.p.A., Milano 1989
[2] Postfazione in L’Idea deforme, cit., p. 295
[3] Postfazione in L’Idea deforme, cit., p. 299-300
[4] Postfazione in L’Idea deforme, cit., p. 306