di Maria Rosa Calabrese
Nella lingua italiana velina, velata, velo derivano dal latino velum che indicava una stoffa sottile o rada che, pur coprendo e nascondendo, lascia intravedere ciò che sta sotto.
VELINA è anche un tipo di carta leggera, usata soprattutto per avvolgere e proteggere le cose delicate. Ideata nel 1700 in Francia ad imitazione della pergamena che, fatta con pelle di vitelli nati morti, particolarmente trasparente, leggera e liscia. Ritroviamo qui il valore della protezione, della copertura. Paradossale che “velina” diventi la rappresentazione di ciò che è scoperto.
Infatti “velina”, come immagine femminile, nasce alla fine degli anni ‘80 in Italia, in una trasmissione televisiva di varietà e di informazione. Veline sono chiamate le ragazze che portano i fogli delle notizie da trasmettere (fogli chiamati, in gergo giornalistico, veline, perché fatti di carta leggera). Le ragazze sono ovviamente tutte belle, attraenti ed espongono il loro corpo il più possibile “senza veli”, trasformandosi gradualmente in figure dal look provocante, ispirato all’immaginario collettivo derivante dalla commedia erotica all’italiana. Sempre meno ricordate come portatrici di notizie, sempre più assunte a richiamo erotico e di facile successo televisivo. Molte ragazze belle ne fanno un ideale di professione e affollano i concorsi per poter accedere a quel ruolo. L’aggettivo sostantivato velina finisce col significare qualcosa di leggero e di frivolo.
VELATA descrive la condizione della maggioranza delle donne nel mondo islamico. A differenza della Velina, il suo corpo è molto coperto e quasi nascosto, obbligatoriamente, alla vista del mondo esterno. Ci sono vari tipi di copertura: lo HJIAB (etimologicamente nascondere, velare) è il classico fazzoletto che copre i capelli, lasciando scoperto il viso; il CHADOR è l’intero vestito che lascia fuori solo gli occhi; il BURQU è il velo che lascia scoperti solo due fori per gli occhi.
VELO è un oggetto di stoffa in genere trasparente. Copre e non copre, nasconde e lascia intravedere. Nella storia dell’arte e in molti riti di religioni antiche e moderne evoca l’atteggiamento di rispettoso silenzio e di sguardo delicato verso le immagini del divino.
Nel Gioco della sabbia il velo ricorda che i luoghi sacri, dove appaiono le immagini della nostra psiche più profonda, non possono essere profanati da occhi invadenti e giudicanti. Il velo può essere dunque un perfetto simbolo di ciò che Dora Kalff dava come conditio sine qua non del Gioco della sabbia:” UNO SPAZIO LIBERO E PROTETTO”.
In italiano la parola RIVELARE significa mostrare, portare alla luce, ma anche l’azione di velare di nuovo, RI-VELARE.
Questo esprime forse il paradosso del sacro: si può vedere ma, appena lo si è visto, è di nuovo nascosto alla vista. Anche Dante Alighieri, nell’ultimo canto del Paradiso, davanti all’immagine di Dio, alla quale si è accostato con i suoi “veli” (Beatrice, Bernardo, Maria), dichiara di non trovare parole per dire ciò che ha appena visto. Silenzio dell’ineffabile! “Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto!”.
Il Gioco della sabbia nasconde in sé e porta alla luce qualcosa di prezioso e sacro. Vela ed evidenzia.
Sostiene Guenon:” Si potrebbe dire che la maschera che si usa per nascondere la vera faccia dell’individuo, fa apparire invece agli occhi di tutti, ciò che l’individuo realmente ha in sé, ma che di solito deve nascondere.”
Nel teatro greco la MASCHERA (persona in latino), velando il volto, evidenziava i sentimenti dell’anima collettiva che l’attore ospitava in sé.
L’artista Christo’ vela monumenti importanti per renderli di nuovo evidenti agli occhi di chi non li valorizza più, essendo assuefatto alla loro visione, costantemente esposta.
LA VERITA’ E’ SVELATA DAL VELO.
BARBIE E FULLA –RAZANNE
Sono le bambole che rappresentano l’odierna espressione della donna occidentale “scoperta” e quella della donna islamica ”coperta”.
Fino a pochi secoli fa, anche in Occidente, le donne erano coperte ed usavano molti veli. Lentamente, per emancipazione e padronanza del loro corpo, si sono spogliate sempre di più dei loro veli fino a diventare “schiave” del corpo da mostrare. Il corpo è rimasto un oggetto, spogliato, mostrato, usato come merce di scambio e di provocazione, anche se le donne ne sono padrone.
Ed ecco Barbie, la bambola-donna che invade le nostre case con tutti i suoi abiti, arredamenti e fidanzato. Fulla-Razanne è l’altra bambola, la bambola-donna islamica coperta, velata, emblema dei valori del mondo mussulmano. L’incontro tra queste due BAMBOLE sta producendo molto dibattito e riflessioni interessanti in entrambi i mondi.
Il corpo femminile per le religioni ebraica e cristiana è un luogo impuro, portatore di lussuria e perdizione, dunque da nascondere e disprezzare. Il mondo occidentale laico ha spostato il valore del corpo al polo opposto (enantiodromia).
Nel Corano viene detto che la donna deve mostrare la propria bellezza solo agli uomini della sua famiglia e che le parti belle del corpo vanno protette, coprendole.
Dunque per l’Islam il corpo femminile è bello e la bellezza va protetta per preservarla. L’atto del coprire/velare crea una differenza di valore e difende dalle invasioni offensive di occhi esterni non rispettosi.
Sottolineo questi punti perché, tra molte giovani donne islamiche che vivono soprattutto in occidente, costituiscono i motivi principali della decisione volontaria di indossare il velo: preservare un’identità culturale per sentirsi più forti e libere di muoversi nel mondo esterno che ingloba e globalizza.
Tutto è cominciato nel 1989 quando due giovani marocchine si sono presentate nella loro scuola francese con un fazzoletto in testa, sostenendo che la donna occidentale non è rispettata dall’uomo e che lei per prima partecipa a questa mancanza di rispetto “spogliandosi” per lui.
CHI È DAVVERO LIBERA? CHI È DAVVERO SCHIAVA?
IL VELO NEL MONDO ANTICO
L’uomo greco era consapevole della potenza dello sguardo e la donna non poteva essere toccata da uno sguardo non familiare. Persino Afrodite, accompagnandosi ad Anchise, si accosta il velo “distogliendo il volto e abbassando i begli occhi” (Inno omerico ad Afrodite). Il velo accompagnava anche Demetra, Iside e molte altre divinità femminili. La seduzione femminile si è sempre giocata tra coprire e scoprire. Il velo nella poesia antica era lucente, splendente, simbolo dell’identità femminile. KALYPTRA (dal verbo KALYPTO nascondere) è il velo usato dalle donne greche sposate, che copriva la testa o era calato sul volto come una veletta.
Ricorda il SARI, abito tradizionale delle donne indiane, ancora usato.
Questo velo viene discosto la prima volta durante il matrimonio, che finisce con lo svelamento della sposa, sia in India che nell’antica Grecia
Il velo aveva una funzione simbolica nei rituali misterici di iniziazione. C’erano veli per coprire e veli per rivelare i misteri. I Mystai (gli iniziati) dovevano coprirsi gli occhi in alcuni momenti del rito e chiudere la bocca. Kerenyi parla della radice MYEIN (iniziare) connessa a MY’EIN (chiudere occhi e bocca). Gli atti rituali non si possono rivelare. I Misteri Eleusini si concludevano con una visione contemplata in silenzio, con uno svelamento da parte dello HIEROFANTES (colui che mostra, che svela), della manifestazione simbolica della dea Demetra nella spiga di grano. C’erano inoltre un cesto o un vaglio (LIKNON, coperto da un velo, che conteneva un enorme phallos, simbolo di fertilità. Il velo veniva alzato per mostrare il contenuto all’iniziato, che diventava così partecipe della conoscenza dei Mysteria.
Nel quadro di Tiziano “Apparizione della Madonna con il Bambino ai santi Caterina d’Alessandria, Nicola di Bari, Pietro, Antonio da Padova, Francesco d’Assisi e Sebastiano, detta Madonna di San Nicolò dei Frari o della Lattuga”, la Madonna che tiene in braccio Gesù è colta nel gesto di alzare il velo, per rivelare il SACRO ai SANTI che guardano.
Molti veli erano presenti nella tragedia greca, oltre la maschera che celava il volto dell’attore, per evidenziare i sentimenti archetipici che doveva esprimere. Euripide ed Eschilo usavano introdurre in scena, ad inizio opera, figure velate e sedute, avvolte nei loro panni che stavano in silenzio. In ogni tragedia greca, quando si dovevano esprimere sentimenti potenti, come la paura, la vergogna, la riflessione profonda, gli occhi guardavano in terra, il viso era rivolto all’indietro o era velato, il silenzio era totale.
Giocasta, in Edipo re, dopo che ha conosciuto la verità, non ha più parole, esce di scena con l’atto di coprirsi il volto con un lembo del suo peplo.
In Alcesti lo svelamento segna, in silenzio, il varco del passaggio morte/vita. Eracle, dopo aver liberato Alcesti da Thanatos, entra in scena con una donna velata. L’eroe le toglie il velo e appare Alcesti che non parla. Il velo è il suo silenzio, lo svelamento la sua rinascita.
Ancora, Cesare si vela il capo con la toga quando vede Bruto che lo colpisce (Plutarco, Caesar), per indicare il suo abbandonarsi all’evento.
Socrate si cela il volto prima di morire.
Chi sta per morire non deve vedere nulla intorno a sé, per questo ai condannati a morte si nascondeva il volto. Nella morte naturale cala “un velo sugli occhi” e gli occhi e la bocca vengono chiusi immediatamente dopo la morte. Nell’oscurità del non vedere e del non parlare si cela e si custodisce il mistero.
Nel velarsi c’è il rispetto dell’uomo verso ciò che non può mai essere colto nella sua potenza ed interezza.
Ancora oggi il velo è, nell’abbigliamento femminile, sia qualcosa di seduttivo che stimola curiosità e desiderio, sia componente fondamentale per cerimonie sacre quali Prima Comunione, Matrimonio. Farsi suora si dice anche “prendere il velo”.
Dalla danza dei sette veli di Salomè al velo sul calice dell’Eucarestia, dal velo della tenda ebraica alla veletta dei cappelli dell’Ottocento, il velo è stato a lungo simbolo di uno status sociale: le donne altolocate lo portavano mentre schiave e prostitute non potevano indossarlo.
IL VELO CELA, NASCONDE, PRESERVA, RIVELA.
VELO DI MAYA
È scritto nei Veda indiani che la dea Maya, dopo aver creato la terra, la ricoprì con un velo, per impedire agli uomini la conoscenza della vera realtà. Maya è il velo dell’illusione che ottenebra le pupille dei mortali e fa loro vedere un mondo di cui non si può dire né che esista né che non esista. Il mondo è come il sogno, con questa luce ingannevole, perché velata, si può vedere un serpente in un ramo buttato a terra. Il velo nasconde la vera realtà rendendola più vivibile e soggettivabile. Colui che guarda crea la sua realtà, concetto avvalorato molti secoli dopo i Veda dalla fisica quantistica (Paradosso di Heisenberg).
Difficile tradurre la parola Maya, che è molto più di un’illusione. Qualche scuola yogica antica la spiega così: il Sé vela se stesso dando forma all’intero universo. In sanscrito Maya significa, per prima cosa, creazione, in base alla radice MA (misurare, costruire), poi diventa anche illusione. Il mago (MAIYN in sanscrito) crea tutto l’universo, l’anima individuale è tenuta in questo universo con i lacci di Maya, l’illusione, creazione del MAIYN. Maya è la creazione e Maiyn è il creatore.
IL VELO NELL’ARTE
Il velo nell’arte antica è quasi sempre presente nell’abbigliamento femminile e nelle rappresentazioni della dea Afrodite/Venere. Il corpo femminile, nudo, è sempre accompagnato da un velo che spesso non copre la nudità.
Commento queste immagini con le parole di F. NIETZSCHE e di M. HEIDEGGER.
Dice il primo filosofo: “La verità come la vita è donna …”. Il secondo: “Il velare è l’essenza stessa della verità …”.
ALÈ THEIA, la verità, non può darsi mai nella sua totalità e compiutezza, a causa del continuo velarsi/svelarsi dell’essere che si ritrae mentre si mostra.
Afrodite, dea della bellezza e dell’amore, è simbolo di creatività nell’aspetto biologico (Afrodite Pandemia) e in quello spirituale (Afrodite Urania).
Afrodite è una forza immensa di cambiamento, con la sua energia nasce sempre una nuova creatura. Che sia un bambino o un’opera artistica, Afrodite è attrazione, unione, fertilizzazione, incubazione e nascita. Il lavoro creativo nasce da un coinvolgimento intenso e appassionato. Come un amante, l’artista è coinvolto, con tutti i sensi potenziati, nel rapporto con la materia, dalla quale riceve continuamente nuove percezioni e stimoli.
Omero celebra Afrodite come amante del riso, piena di fascino, ma soprattutto AUREA, capace di far apparire aureo tutto ciò che tocca con il suo sguardo. Per questo ciò che amiamo davvero ci appare speciale, meraviglioso. Quando c’è Afrodite c’è una magia nell’aria, uno stato di incanto, una corrente magnetica che attrae. Afrodite sconquassa l’anima per predisporla al cambiamento, facendole affrontare le dure prove che l’aspettano per riuscire ad incarnare Eros nella terra, nella materia, nell’Opus, come la favola di Eros e Psiche ci racconta. D’altra parte Afrodite ha per marito Efesto, il dio faber, colui che mette in opera il “bello”. Nel cosmo di Afrodite ÀISTHESIS (estetica) è la percezione sensoriale accompagnata da un certo trattenere il fiato per la meraviglia. La bellezza di Afrodite, come ha scritto J. HILLMAN, è la superficie lucente di ciascun evento particolare, è la sua trasparenza, la sua nudità con velo che non copre ma evidenzia. La bellezza è la possibilità stessa di percepire il cosmo e sentirne l’attrazione. L’organo che percepisce questa bellezza, il volto delle cose così come ci appaiono, nella loro Maya, è il CUORE.
Cuore della bellezza, amore per l’Anima mundi, territori di Afrodite.
Il Rinascimento italiano, epoca di rinascita importante in tutte le Arti, che ha nel quadro di S. Botticelli “La Nascita di Venere” una delle più famose rappresentazioni, ha inventato la PROSPETTIVA, la nuova capacità di descrivere lo spazio all’interno del quadro. La prospettiva è la più grande espressione di Maya e Venere insieme. La si è chiamata “la bella illusione consapevole”.
Ciò che vedo esiste, perché lo vedo, ma non esiste in sé, esiste solo attraverso la percezione che ho di esso. Lo vedo ma non c’è, meravigliosa illusione ottica.
Nel Rinascimento l’uomo è al centro dell’universo, sente i suoi limiti, aspira alla perfezione divina sulla terra e, sotto l’influsso di Venere, è pieno di desiderio.
De- sidereo, lontano dalle stelle del cielo, cerca di portare quella perfezione sulla terra con la bellezza, l’armonia, con l’amore per la vita, praticando ogni tipo di ARTE.
Velo di Maya è l’Arte stessa che sempre mostra e mai svela, che accenna e nasconde, che nascondendo rivela. Ogni materiale usato dall’artista è come un velo, fisico o virtuale, dietro al quale si nasconde lo spirito dell’opera e dal quale, ogni tanto, affiora un significato, soltanto per un attimo. Rimanere dietro il velo per essere solo intra-visto. L’arte, come la Maya dei Veda, ha come condizione ciò che Magritte ha scritto nel suo quadro:
CECI N’ EST PAS UNE PIPE. “L’ oggetto non è l’oggetto ma la sua immagine, ma che cos’è infine la sua immagine?”
CONCLUSIONE
Nel Gioco della sabbia l’opera è lì, l’artista è lì, noi siamo lì, tutto si svela e si vela continuamente. In questa Prospettiva-Maya-Venere avvengono cambiamenti profondi in colui che sta creando.
Noi terapeuti del Gioco della sabbia siamo testimoni percettivi (non solo oculari!) di questi cambiamenti. Possiamo osservare, sentire, riflettere e oserei dire anche pensare, sempre ricordando ciò che C.G. JUNG scrisse: “Dobbiamo essere capaci di lasciare che le cose, nella psiche, accadano. Per noi questa è un’Arte, della quale molte persone non conoscono nulla. La coscienza vuole sempre interferire, aiutare, correggere, negare, non lascia mai che il processo psichico cresca in pace”.
Voglio ricordare la nostra cara collega, appena passata ad altra vita, Kay Bradway, ringraziandola per il suo enorme contributo professionale e umano al Gioco della sabbia, riportando le sue parole:
“Nel Gioco della sabbia condividiamo, senza interpretare, la bellezza del processo del paziente, la bellezza dell’unicità del paziente, la bellezza dell’autoguarigione della psiche del paziente. Questo è ciò che fa del processo un OPUS.”
In onore della SINCRONICITA’, contemporaneamente al nostro congresso, in Venezia, nel Padiglione centrale della Biennale 2013, una delle più importanti manifestazioni artistiche mondiali, è esposto IL LIBRO ROSSO di C.G. JUNG. Arte e Psiche finalmente unite!
ELEONORA:
11 sabbie di un processo di trasformazione di una giovane donna in cerca della propria identità femminile.
Ho scelto di presentare le Sabbie di Eleonora perché mi sono sembrate estremamente appropriate ad evidenziare il valore archetipico del velo nel rapporto tra conscio ed inconscio ed il Gioco della sabbia come ottimo dispositivo creativo per attivarlo.
Durante tutto il processo il velo accompagna la paziente vicino ai suoi contenuti inconsci profondi, senza troppo spaventarla (con il rischio di chiusura, senza costringerla ad una consapevolezza razionale, che avrebbe potuto bloccare la necessaria integrazione degli stessi contenuti.
Dora Kalff parlava di “coscienza lunare” attiva nel processo del Gioco della sabbia, per indicare una luce che ci fa vedere ma non troppo direttamente, atteggiamento fondamentale dell’uomo quando si avvicina al mistero della vita in tutte le sue forme. Il velo vela, copre, nasconde per rivelare, per manifestare il divino all’iniziato, che deve continuare a vedere velatamente per non essere ”bruciato” dall’intensità di ciò che vede.
I Quadri di sabbia che ho scelto (che non sono tutte quelle che la paziente ha fatto, evidenziano tre momenti fondamentali del processo:
1°- INCONTRO CON LA MORTE (nonno, fidanzato)
2° -INCONTRO CON L’OMBRA (amica tunisina velata)
3° -INCONTRO CON LA CREATIVITA’ (arte ed Afrodite)
NOTIZIE RICEVUTE DA ELEONORA
Eleonora ha 21 anni, studia all’Università di Pisa, facoltà di Lingue, di famiglia benestante con una certa importanza sociale. Vive in una città lontana dall’Università con la famiglia, composta da nonna materna (il nonno è morto quando aveva 14 anni, padre, madre ed un fratello di 17 anni. Lei è il fiore all’occhiello della famiglia. È talmente bella che, fin da piccola, è scelta per la pubblicità e da ragazzina partecipa a vari concorsi di bellezza, fa anche la modella in differenti occasioni. Studia Lingue per avere una carta in più per lavorare in televisione. Durante il percorso universitario iniziano forti attacchi di panico che sfociano in uno stato depressivo, con il ritiro dalla vita sociale e scolastica. Fa un tentativo di cura psichiatrica senza effetti positivi. Su suggerimento della zia viene da me per un aiuto.
La prima volta che la vedo è molto bella, ben vestita, sembra proprio una “velina” del programma televisivo di cui ho già accennato. È triste ed angosciata. Le chiedo di raccontarmi il periodo precedente l’attacco di panico. Parla dell’Università, dove lei studia poco e non frequenta molto le lezioni fino a quando fa amicizia con una ragazza tunisina del suo stesso corso. Seppur molto diverse, come potete immaginare, nasce una strana e forte amicizia che porta Eleonora a stabilirsi a Pisa, a vivere con altre studentesse, a studiare più intensamente, rinunciando per questo al lavoro di modella. Ha anche la sua prima love story con un compagno di Università. Un giorno lui ritarda ad un appuntamento, lei non riesce a rintracciarlo e si scatena il primo attacco di panico, così forte che la sua amica Sharim la deve portare al Pronto Soccorso.
Da quel momento non sta più bene e la sua vita subisce una forte involuzione. Quando le propongo il Gioco della sabbia il suo viso si illumina, la parola gioco le piace, la tranquillizza sulla paura della terapia. Accetta molto volentieri di giocare. Gli incontri avverranno una volta alla settimana.
1° QUADRO di SABBIA. ASCIUTTA, ORIZZONTALE, VELO NERO
Appena entra nella stanza si toglie le scarpe con tacchi molto alti e si libera dei gioielli che indossa. Dice che è interessata a fare questo gioco, le sembra di tornare bambina. Guarda attentamente tutti gli oggetti negli scaffali e sorride.
Dopo la Sabbia dice: “Tutto è sotto un velo nero, è la mia vita ora. Ho preso gli oggetti che mi hanno attirato. Ci sono tante donne. Sono confusa. Il velo nero mi ricorda mia nonna in lutto. È solenne.”
MIE RIFLESSIONI
Subito compare il velo che rende sacra la sua confusione di donne, sdraiate, bloccate sotto questo lutto. Il nero è un colore implosivo, contiene tutti colori al suo interno, potenza del pieno trattenuto. Il suo stato attuale ha a che vedere con il lutto della nonna. Saprò più tardi che il nonno morì in un incidente quando lei aveva 14 anni. In quell’occasione lei era stata molto male, aveva smesso di mangiare e di andare a scuola. C’è un piccolo tralcio di vite sotto al velo, fa pensare al dio Dioniso, dio di morte e rinascita, mi sembra di buon auspicio.
2° QUADRO di SABBIA. ASCIUTTA, ORIZZONTALE, VELO PORPORA (settimana successiva)
Dopo la sabbia dice: “Il nastro della vita, il velo è bello perché trasparente. Le suore hanno la testa coperta, sono buone o cattive? Andavo a scuola dalle suore. Qui hanno un bel giardino ed i bambini stanno sulle uova a giocare. Dall’altra parte ci sono ragazzi e ragazze e la televisione, il mio futuro, il lago dei desideri. La donna azzurra è mia madre, la ragazza sono io con il mio cane, andiamo a prendere mio fratello all’asilo.”
MIE RIFLESSIONI
Un velo divide la sabbiera in due parti, il passato con le suore, l’asilo, i bambini, il gioco ,un mondo dell’infanzia spensierato, poco vissuto da lei, molto esposta alla pubblicità televisiva per la sua bellezza. Sento in quelle uova un bisogno di cova, di protezione. E poi il futuro, fatto di televisione, bei ragazzi e belle ragazze. Il pavone (di vetro) che brilla, esprime bene il suo desiderio di essere la più bella, la più guardata. Il pavone è però anche il simbolo della capacità di trasformare il veleno in medicina, e questo mi piace! Il velo è porpora, il colore che si situa perfettamente al centro tra luce e tenebre, tra bianco e nero (secondo la Teoria del colore di W. Goethe). Sono colpita dal fatto che non nomina le due figure centrali che si fronteggiano. Lei assomiglia a Sailor Moon e l’altra è una donna tunisina in abito tradizionale. Penso a lei e alla sua amica di cui mi ha parlato.
3° QUADRO di SABBIA. BAGNATA, VERTICALE, VELO ROSA (settimana successiva)
È vestita in modo diverso, avvolta in un gran maglione, senza trucco e con scarpe da ginnastica. È agitata perché non ha dormito per tutta la notte. Lavora la sabbia mostrandomi la schiena.
Alla fine della sua opera dice: “La morte è terribile, penso a mio nonno, sparito così, sono andata fuori di testa, avevo 14 anni, vedevo gli scheletri di notte e contavo il tempo che mancava alla mia morte. Il velo serve per dare un po’ di rosa al nero e ai buchi, l’incappucciato vede meno e non è visto dalla morte, quella è la bocca che ingoia tutta. Guarirò?”.
MIE RIFLESSIONI
Ancora un velo in funzione di protezione, il rosa è un colore che addolcisce le tenebre, un ‘immagine di vita fresca e giovane, che rende meno nero il contatto con l’angoscia di sparire nei buchi della morte. Emergono i suoi ricordi di dolore. Il primo incontro con la morte avviene per lei in pubertà, età molto difficile e portatrice di per sé di molte crisi per la morte/cambiamento psicofisico che comporta. Interessante la figura dell’incappucciato, protetto dal capo coperto, nel rapporto con l’inevitabile signora della fine. In molti riti misterici l’iniziato ha un cappuccio che toglierà solo ad iniziazione avvenuta. La morte è un buco nero che inghiotte, come Saturno/Crono il dio del tempo (clessidra) che inghiottiva i suoi figli, rappresentato nel Medio Evo come lo scheletro con la falce. Saturno ci spinge a capire la differenza tra ciò che è nella vita importante e ciò che non lo è. Eliminare il superfluo per arrivare all’essenziale.
La maschera che usa è fatta di ossidiana, lava vulcanica, viene dalla Sicilia e rappresenta il dio Dioniso. C’è una piccola statua di Kali, che lei non nomina. Kali significa nero ed anche tempo, ed è la Dea signora di vita e di morte per l’Induismo.
4° QUADRO di SABBIA. BAGNATA, ORIZZONTALE, VELO VIOLA (ci sono 3 sabbie prima di questa)
Bagna molto la sabbia ed impasta, sporcandosi bene le mani. Poi dice: “ E’ il panico, sto male, sono terrorizzata, sono nel fango, solo con la mia bambola.
Il serpente mi prenderà, il nero avanza e mi stritola. Non riesco a piangere, ho un blocco nel petto”.
MIE RIFLESSIONI
Entra in contatto con la forte angoscia che sente, angoscia di una bambina sola, poco libera di giocare e sporcarsi. Ciò che esprime sembra più antico dei suoi attacchi di panico. Sola in mezzo al fango e ai pericoli. La protezione è offerta dal velo viola (colore usato per regolare gli eccessi, colore che contiene ed evita la frantumazione a causa di forti emozioni) e dalla strana bambola che sceglie. E’ una piccola venere di Milo. Questo mi colpisce molto e penso alla bellissima Psiche che deve incontrare le dure prove della Dea Venere per ritrovare il suo Eros, dopo il crollo del suo “castello magico”.
5° QUADRO di SABBIA. ASCIUTTA, ORIZZONTALE, VELO BIANCO (ci sono 2 sabbie prima di questa)
Il suo aspetto fisico sta peggiorando, è trasandata, spettinata, non mostra alcuna cura per la sua “Persona”. Fa solchi con le dita con rabbia, come se graffiasse la sabbia.
Quando l’opera è conclusa dice: “Sto male, sono depressa, non mi alzerei mai da letto, non studio, non mi lavo, non mi riconosco, i miei genitori sono preoccupati. Siamo nel deserto, ci sono ragni, scorpioni. Sono a bocca in giù e non respiro. La bambola e il velo bianco mi proteggono.”
MIE RIFLESSIONI
È un gran brutto momento da condividere, sento tutta la sua resa, la sua impotenza davanti al malessere. C’è un forte pericolo di essere inghiottiti dall’angoscia, bloccati dalla tela del ragno, avvelenati dallo scorpione. Per fortuna il velo bianco (colore di luce pura) ed Afrodite funzionano come protezioni luminose per non perdere l’orientamento. In fondo al buio c’è la luce. Il Rinascimento italiano ha ne “LA nascita di Venere” del Botticelli una delle sue opere più importanti. Questo mi conforta.
6° QUADRO di SABBIA. BAGNATA, ORIZZONTALE, VELO ROSSO (c’è una sabbia prima di questa)
Sta un po’ meglio, il suo aspetto è migliorato, sembra una ragazzina di 16 anni, capelli raccolti, semplice e sportiva.
Finita l’opera dice:” È l’isola Vulcano, la regina è la signora dal velo rosso, lassù (indica la donna indiana col sari). Vede tutto dall’alto, il fuoco nel buco scalda, la terra è fertile. C’è una nonna che sembra un uomo con il fuoco. Io e il mio cane arriviamo con il gommone, le sirene sono amiche.
MIE RIFLESSIONI
Dal contatto con il nero nasce il rosso, il fuoco del vulcano (penso alla maschera di lava del 3° quadro di sabbia). E’ arrivata con il suo lato più istintivo (il cane) ad un’isola calda e fertile. Una donna indiana regna lì, nel suo abito tradizionale, con il capo coperto. L’oriente è il luogo dove nasce il sole, orientarsi è tornare ad oriente. Il capo coperto di questa donna mi richiama la suora del 2° quadro di sabbia. Il velo è rosso, colore di vita profonda, di movimento di sangue, di fuoco ed energia. Penso a Persefone e alla sue nozze “purpuree” nel regno di Ade. La nonna, che era associata al lutto nero nel 1° quadro di sabbia, ora è vicino al fuoco e forse nel suo essere anche un po’ uomo ha integrato il nonno morto. Le sirene esprimono la sua femminilità di fanciulla in trasformazione, metà corpo è ancora freddo pesce, metà è bello ed ammaliante.
7° QUADRO di SABBIA. ASCIUTTA, ORIZZONTALE, VELO VERDE (Ci sono 2 sabbie prima di questa)
Dice:” Io, il mio fidanzato e mio fratello siamo naufragati in questa terra, dove vive la signora grassa della tenda. Ci sono uomini e donne scure. La ragazza in canoa mi salva, pescandomi con il velo verde. Ci daranno da mangiare. Io sono tramortita.”
MIE RIFLESSIONI
Penso al ritardo del fidanzato che le aveva scatenato l’attacco di panico a Pisa e alla sua amica che l’aveva salvata portandola al Pronto Soccorso. Il luogo del naufragio e del recupero è chiaramente un luogo medio orientale o nordafricano. Ricompare la figurina del 2° quadro di sabbia, la donna in costume tunisino, abita lì e possiede la tenda, simbolo di protezione femminile e di accoglimento. È la prima volta che parla del corpo, definendo grassa la donna che la accoglie.
Penso ad una Demetra più materna, più corporea, più accudente e nutriente che si sta sviluppando in lei. Molto interessante il velo verde con cui è pescata dall’indios. Di nuovo il velo legato ad un salvataggio, forse una nuova nascita, uscita dalle acque. Il verde è un colore di rigenerazione, rinascita, primavera. Forse nasce una nuova donna con un suo maschile integrato (fratello e fidanzato), in grado di portare un nuovo valore nella sua vita.
8° QUADRO di SABBIA, ASCIUTTA, ORIZZONTALE, VELO BIANCO (ci sono 2 sabbie prima di questa)
Dopo la sabbia dice:” Siamo in Egitto, siamo arrivati io ed i miei amici con il treno, nel villaggio della signora grassa della tenda. C’è una festa con i fiori in onore della dea verde con la statua (bottiglia con la sabbia) preziosa. Le donne hanno preparato il cesto, gli asini sono amati, non come da noi.”
MIE RIFLESSIONI
Ci sono molti richiami a culti misterici importanti. Penso alle feste in onore di Iside, dea delle rose, legata all’asino, come ben ci racconta Apuleio nell’Asino d’oro, che contiene tra l’altro la favola di Eros e Psiche che ho già citato, ai Misteri Eleusini, dedicati a Demetra con le sue spighe di grano e con i cesti coperti, contenenti oggetti sacri . Demetra ed Iside hanno il velo come loro attributo. Eleonora non conosce nulla del mondo mitologico.
Questa volta non è naufragata ma è arrivata di sua volontà in questa terra diversa. Ci sono 3 donne e 1 uomo dove prima c’erano 2 uomini e 1 donna, forse il suo nuovo femminile sta aggregando intorno a sé parti nuove. La figura della donna tunisina ricompare come padrona di casa di un luogo dove ci sono ancora culti di iniziazione al femminile. Noto che ci sono 3 donne indiane col capo coperto e 3 donne occidentali “scoperte”.
9° QUADRO di SABBIA. BAGNATA, ORIZZONTALE, VELO VERDE (ci sono 3 sabbie prima di questa)
Dice che si sente meglio e che è riuscita a studiare un po’. Sono passati circa 9 mesi, non ha più avuto attacchi di panico ma non si è più allontanata da casa.
Finita la sabbia dice:”E’ l’ isola della sirena grassa ma bella, se la gode, ma ci sono molti nemici che vogliono distruggere l’isola, ammazzare i bambini e rubare il tesoro nascosto sotto il velo. Le tre ragazze difendono l’isola, l’indios recupera i feriti. La statua del vecchio con il bastone spaventa i nemici. I nemici sono i cartoni animati, l’ingordigia, che schifo. Mi viene in mente come stavo male quando facevo i concorsi di bellezza e ci fotografavano quasi nude. La ragazza con l’arco mi ricorda la mia amica Sharim che vuole fare la giornalista e mi ha spinto a studiare e ad andare a vivere da sola l’anno scorso. Ho voglia di rivederla, ogni tanto la sento per telefono. Mi sembrava brutta e grassa, sempre con quel velo in testa. Sai che la mia famiglia ha dato la colpa a lei del mio malessere? Io le voglio davvero bene. Non faccio più la dieta delle modelle, se ho voglia di cioccolata la mangio, speriamo bene.”
MIE RIFLESSIONI
Il Quadro di sabbia si commenta da sé: il corpo che gode (la sirena); tre figure femminili molto legate ad Artemide, la dea vergine che difende il femminile dalle intrusioni violente. Nell’isola c’è amore, fertilità, bambini. L’uomo di legno è una rappresentazione di Saturno, vecchio saggio eremita che ricorda che dobbiamo morire (memento mori), spaventa i nemici che sono i rappresentanti di una vita falsa e violenta. Mi colpisce il dolore dei suoi ricordi di quel mondo. E’ la prima volta che racconta e riflette sull’incontro con l’amica dal capo coperto. Si rende conto che la sua amica porta il velo quando realizza che lei stessa soffriva nel mostrarsi “scoperta “a tutti. In questo luogo c’è un tesoro da difendere, il vero Sé.
10° QUADRO di SABBIA. BAGNATA, ORIZZONTALE (ci sono 4 sabbie prima di questa)
Dopo la Sabbia dice:” Ci sarà una gara per il fiore d’oro, la ragazza con la spada sono io con mio nonno. La gara è tra la nuda con il velo e la suora con il velo (ride). La donna con le braccia aperte regola il cancello, la gente guarda. C’è la signora grassa della tenda e la donna dell’Ottocento.
La balena mi faceva paura da piccola, quando Pinocchio finiva lì, io piangevo.”
MIE RIFLESSIONI
La gara del velo per il fiore d’oro è molto ironica e leggera. Come tenere insieme i due mondi, come essere coperta e scoperta insieme? Come fare del velo che copre un atto di seduzione che fa intravedere? La veletta della donna dell’Ottocento è il risultato, nella storia dell’abbigliamento femminile, di un velo che copre e scopre in tutta libertà ed autonomia di chi lo porta.
Qui il nonno (suo primo contatto con la morte) è con lei, come se il lutto fosse ora elaborato e la metta in condizione di dirigere la gara. Mi piace l’ironia mercuriale con cui tratta i confini tra veli di orientamenti culturali diversi. La balena è l’essere inghiottiti, passaggio doloroso, ma inevitabile per trasformarsi da burattino in essere umano autentico.
11° QUADRO di SABBIA. BAGNATA, ORIZZONTALE, VELO ROSSO CON ORO (ci sono 8 sabbie prima di questa)
È tornata a Pisa, ha ripreso gli studi, ha rivisto la sua amica ed è entrata con lei a far parte di un progetto universitario interculturale. Ha fatto domanda per partecipare al Progetto universitario Erasmus per studiare un anno all’estero. E’ visibilmente un’altra persona e lo dice. Sta bene, questa sarà l’ultima sabbia ma, finite le vacanze, vuole venire da me una volta al mese per sentirsi più sicura.
Dopo la Sabbia dice:”Qui, ogni 7 anni c’è una festa, la nascita di Venere, il velo è prezioso. Le rovine del passato sono preziose, opere d’arte. Ho scoperto Frida Khalo e mi piace molto. Ci sono tante coppie di tutto il mondo. Io sono inginocchiata davanti al fiore d’oro.”
MIE RIFLESSIONI
Difficile immaginare nella storia della paziente qualcosa di più significativo di questo Quadro di sabbia. Ogni 7 anni il rito di cambiamento si compie (a 14 anni muore il nonno, a 21 si spaventa per il ritardo del fidanzato. Tutto è mutato, nasce una nuova Venere, una Venere artistica, autentica, creativa che ci insegna che il velo esprime l’importanza del saper vedere. Nell’arte il velo, sempre presente accanto al corpo femminile nudo, serve a ricordarci che la bellezza è l’autenticità delle cose viste così come sono, nude. L’occhio umano deve accostarsi rispettoso, discreto, velato, al sacro mistero della DEA. L’oro e il rosso del velo sottolineano il calore e la preziosità divina di questa bellezza.
Davanti a Venere c’è un fabbro, Efesto, suo marito, colui che costruisce e crea la bellezza che Venera pensa. Questa coppia perfetta di dei abita nell’artista e nella sua opera. Ed ecco Frida Khalo, lo scultore, le rovine del passato, qualcosa di prezioso da non dimenticare.
Ci sono coppie da tutto il mondo per celebrare l’unione degli opposti, matrimonio mistico, coniunctio oppositorum. Penso al pavone del 2° Quadro di sabbia e alla sua coda a ruota come alla cauda pavonis dell’alchimia. Il veleno è stato trasformato in medicina ed in questa Sabbia-Mandala tutto si è ricomposto, trasformato. Lei si rappresenta come una giovane donna con il capo coperto che si inchina, si inginocchia davanti al fiore d’oro, il ritrovato Sé, nuovo orientamento per una nuova vita.
L’atto di inginocchiarsi mi ricorda Psiche che, disperata per la perdita di Eros, pensa al suicidio. Il grande dio Pan la fa inginocchiare e le fa mettere il capo a terra, in atto di umiltà e di devozione a Madre Natura, poi le suggerisce di affrontare le prove che le toccheranno per ritrovare ciò che ha perso.
Eleonora, come Psiche, è dovuta passare da un mondo perfetto ma irreale alla dura realtà della perdita, della morte per ritrovare l’Eros autentico della vita, facendo pace con la vera Afrodite che non abita nei concorsi di bellezza, né alla televisione ma nelle stanze dell’autenticità profonda di ciò che si è.
DA VELINA A VELATA,
AL VELO DELLA VERITÀ
Come ha scritto Plotino: “Siamo belli quando siamo conformi a noi stessi mentre siamo brutti quando trapassiamo in un’altra natura.” (Enneadi, V 8-13).
Ho rivisto Eleonora ancora qualche volta, si è felicemente laureata, ha fatto una vacanza in Tunisia presso la famiglia della sua amica, vive e lavora in Germania, fa parte di un’organizzazione interculturale per LO SCAMBIO TRA POPOLI.
È serena.
Copyright ©2013 by Maria Rosa Calabrese