È con grande piacere che introduco alla lettura dell’articolo di Laura Soble, che ci arriva dalla California, come primo contributo internazionale alla rivista Orme.
Conosco personalmente Laura, ho avuto modo di stimarne le competenze e di sentirle assolutamente prossime ai miei stessi interessi, nonostante la distanza che ci divide.
Ci collega un’amicizia che è nata stimolata dallo scambio delle associazioni di Sandplay.
La prima volta fui io a partecipare al congresso americano del 2010, a Boulder, in Colorado; mi ero proposta come presenter di una relazione. La simpatia nacque nel momento in cui Laura mi sorprese in difficoltà a staccarmi da un televisore in cui veniva trasmesso il torneo del Roland Garros, in cui in quei giorni vinceva – eccezionalmente – un’italiana, la Schiavone. Eravamo entrambe emozionate di dover presentare a breve, ma ci fu una risata sul mio tifo italiano ed uno scambio di biglietti da visita. Un anno dopo ricevetti da parte sua una gentile e discreta richiesta circa la possibilità di essere ospitata in Italia, prima di un convegno in Europa. E poi ancora fui io a ritornare in America, esattamente a Berkeley, di nuovo per un convegno americano e a mia volta ricevetti ospitalità in casa sua.
Sono passati dunque 12 anni dal primo incontro e la nostra relazione si è mantenuta, nonostante la distanza, l’oceano che ci separa, gli anni in cui non è stato possibile vedersi di persona.
Anche nella fase acuta della pandemia, la prima, ricordo che ci fu scambio e sostegno tra noi: giocammo infatti a inviarci foto dei fiori che riuscivamo a ritrarre (con i miei cagnolini potevo fare brevi uscite anche nel lockdown duro) e in quella primavera terribile la Milano sgomenta delle autoambulanze e del silenzio dato dall’assenza di traffico, presentava testardamente la fioritura di forsizie, pirus, camelie, glicine…, come di consueto.
Ma ora è arrivato il momento di lasciarvi ascoltare direttamente dalla Soble come è stata l’esperienza in California!
Mantenere l’attitudine alla dimensione simbolica nella pandemia
di Laura Soble (traduzione italiana di Paola Manzoni)
“Per comprendere le indicazioni simboliche dell’inconscio, si deve fare attenzione a non uscire da se stessi o “essere accanto se stessi”, ma stare con le proprie emozioni in contatto con sé e con il proprio mondo interiore. Ovviamente è molto importante che l’Io continui a funzionare in modo normale. Solo se continuo a percepirmi come un essere umano ordinario, conscio della propria incompletezza, posso essere ricettivo ai contenuti significativi e ai processi dell’inconscio”.
C.G. Jung, L’uomo e i suoi simboli (Il processo di individuazione, M.L. Von Franz)
Il 16 marzo del 2020 le autorità sanitarie del Paese dove vivo decretarono per tutti i residenti un lockdown di tre settimane. Il Covid-19 aveva iniziato la sua aggressione feroce, il cui potenziale era ancora sconosciuto.
In un solo giorno, la pratica psicoterapeutica cambiò dalle sessioni interpersonali a quelle online. Il computer di casa divenne il nuovo temenos. Le settimane di chiusura e isolamento divennero più settimane, poi mesi che si dilatarono in anni. Il virus aveva una portata mondiale. Eravamo tutti poveri esseri umani che condividevano un’esperienza estranea e disorientante a livello collettivo.
Come tutti i colleghi, vivevo nell’incertezza, ignorando il futuro possibile della psicoterapia. Decisi di non rinnovare l’affitto dello studio, per quanto mi dispiacesse lasciare colleghi di lunga data e di esperienza comune. Con grande attenzione imballai in scatole centinaia di miniature per la Sandplay, che portai in un magazzino temporaneo.
Il mondo era cambiato, e il lavoro continuò con una nuova vitalità che settimane prima poteva solo essere immaginata. Si formò una sorta di nuova intimità perché il computer mi portò nelle case dei pazienti. C’era poi una connessione viso a viso immediata, che aggiungeva intensità al lavoro che era estenuante in modo singolare. La vicinanza e la distanza della relazione era più incorporea, ma comunque si avvertiva intensamente. Mi sentii esposta attraverso il viso, con quel focus così intenso sulle facce.
Il contenitore relazionale della psicoterapia includeva precedentemente i clienti, i vassoi di sabbia, le miniature, l’arteterapia, l’arredamento, le sensazioni complessive date dalla stanza di consultazione. Amavo il mio studio, che ci forniva una sorta di santuario per affrontare il lavoro di evoluzione dell’animo.
Mi chiedevo, come potevo creare uno spazio sacro attraverso un contenitore apparentemente vuoto? Come potevo mantenere un’attitudine al pensiero simbolico senza la cornice che era divenuta così familiare nel mio lavoro – lo studio, la presenza terapeutica relazionale, i vassoi di sabbia, le miniature?
Per stare in contatto emozionale con me stessa era importante stare in relazione con la dimensione simbolica. Nei primi mesi della pandemia creammo un gruppo con tre colleghi di Sandplay – condividevamo immagini e organizzavamo video. Ci incontravamo ogni trimestre su zoom per scambiare impressioni sulle nostre vite, sul lavoro, sull’arte terapia in modo da rimanere concentrati sulla dimensione simbolica. Non ero consapevole di quanto importante quest’abitudine sarebbe divenuta ma continuando ad incontraci nelle sessioni estive del 2021 e 2022, iniziammo a vedere il gruppo come un contenitore simbolico e lo sviluppo dei materiali condivisi nella forma di collage e di video come un processo di Sandplay.
In assenza del lavoro diretto nelle cassette di Sabbia, cercai i simboli che sorgevano dalla psiche del paziente e nella relazione terapeutica. Levigai la capacità di sintonizzarmi con i segnali verbali e non verbali, le metafore, le immagini, i simboli ricorrenti e di essere cosciente delle risposte controtransferali al materiale delle sessioni. I sogni divennero prevalenti con alcuni pazienti che avevano lavorato con la Sabbia, dando accesso ad un ricco materiale simbolico. Alcuni pazienti riscoprirono una connessione forte con il mondo della natura, trovando sollievo ed inspirazione nel contatto con la natura. Altri intrapresero processi creativi – dipingendo, disegnando, scrivendo, danzando. Altri lottavano per il loro equilibrio cercando un senso quando intrappolati a casa desideravano armonizzare lavoro e vita di famiglia, e le nostre sessioni diventarono dei punti di riferimento importanti dove porre i relativi collegamenti e trarre supporto per l’individuazione.
Una paziente scoprì i tarocchi durante la pandemia e cominciò a portate immagini tratte dalle carte nelle nostre sessioni online condividendo libere associazioni e facendo collegamenti tra il tema delle carte ed il suo processo intrapsichico. Un altro cominciò a sentire dei podcast sulla psicologia junghiana, immergendosi nelle idee e concetti espressi, che attivarono pensiero creativo ed imagerie circa il processo individuativo. Una paziente fu smossa dal vedere una figura di Anubi che faceva parte del suo processo di Sandplay, mostrata attraverso il mio computer. La statuina fu in quel caso un importante elemento di unione tra il lavoro svolto in studio e quello online.
Se da un lato spesso era possibile mantenere un’attitudine simbolica nel mondo virtuale, altre volte mi percepivo non sufficientemente in sintonia con il paziente. Ritardi in internet, intervalli nel parlato, altri problemi tecnici interrompevano il campo ed erano ora parte del lavoro. Mi mancava di poter contare sul setting della Sandplay e di non essere in contatto con altri colleghi condividendo lo spazio dello studio e le brevi conversazioni nei corridoi, tra un paziente e l’altro.
Dopo due anni di lavoro online, affittai uno studio nuovo e vi portai i vassoi di Sabbia e le miniature, che avevo messo in magazzino. Mentre il lavoro virtuale continuava, l’azione di disimballare e ricollocare le figurine mi diede un importante contenitore simbolico. Mi sentii supportata nel continuare a mantenere un’attitudine simbolica dalla mia comunità di miniature, che si espresse ed infuse nel nuovo studio e nelle sessioni da allora in poi.
Alcuni pazienti, vedendo le figurine e gli scaffali dietro di me nei loro schermi, si resero conto che non ero più nell’ufficio di prima. Il nostro lavoro era stato interrotto e disincarnato dalla pandemia. Vedermi in uno spazio nuovo diede un’opportunità commovente di condividere ricordi della precedente collocazione, dello stare con le figurine, del creare vassoi di Sandplay.
Diversi mesi dopo l’essermi mossa nel nuovo spazio, cominciai a vedere di persona alcuni soggetti. La prima che riprese la Sandplay fu una bambina che creò il suo primo vassoio. Attentamente scelse le miniature che comprendevano un fungo, una fata, un pozzo dei desideri, un bambino con una corona d’oro e due spose.
“È un matrimonio, disse, ci sarà un matrimonio”. La mia reverie fu sulla conjunctio e sul potenziale di qualcosa di nuovo che sorge.
Mi vennero lacrime agli occhi. Non c’era bisogno di parole. Sentii quanto mi era mancato lo stare in quel modo nella stanza – e quanto è possibile comunicare quando un vassoio di Sandplay è creato, sia che si stia in silenzio o che si aggiungano suoni, parole e senso della presenza condivisa.
La mia esperienza della pandemia mi porta ad affermare che il simbolico può essere nutrito dal lavoro tangibile di Sandplay, ma anche attraverso il campo di una relazione terapeutica virtuale, basata su internet. Porsi in rapporto con la dimensione simbolica attinta dentro al proprio cuore e nel campo della relazione interpersonale rafforza un contenimento ricco e creativo.
Davanti a sfide e cambiamenti inimmaginabili, il potenziale della capacità numinosa e umana di portare avanti la dimensione simbolica nelle sue diverse forme, rimane viva.
BIBLIOGRAFIA
Jung C.G., L’uomo e i suoi simboli, Oscar Mondadori, 1984
PROFILO DI LAURA SOBLE
È analista junghiana, membro dello C.G. Jung Institute di San Francisco.
Fa parte del comitato di redazione dello Jung Journal: Culture & Psyche.
Didatta della STA (Sandplay Therapists of America), membro ISST (International Society for Sandplay Therapy), terapista di Arteterapia associata a IEATA.
Ha pubblicato su Arts in Psychotherapy Journal, su Journal of Sandplay Therapy, e su Jung Journal: Culture & Psyche.
È docente a livello nazionale e internazionale su temi che concernono la Sandplay e l’Arteterapia.
Lavora in uno studio privato a San Anselmo, California.