Lo psichiatra si ritirò sul lago di Zurigo e si immerse nell’autobiografia
«Se fossi vissuto nel Medioevo mi avrebbero bruciato come eretico»
Le iniziative del Corriere
Corriere della Sera Giovedì 6 Ottobre 2016 CULTURA pagina 41
di Marco Garzonio
Per sua volontà non figura nei diciannove volumi delle Opere. Eppure Ricordi, sogni, riflessioni è «il tutto Jung», un libro unico, dove scienza e biografia sono le due facce d’unica realtà.
Per non addetti ai lavori e specialisti è la porta d’accesso alle scoperte di Jung sull’inconscio, al modo in cui lavorava su di sé, sui sogni suoi e dei pazienti, al suo carattere («Ho offeso molta gente… non avevo pazienza con gli uomini»), alla sua idea di Dio, che per lui «era una delle più certe esperienze immediate» («tutti i miei pensieri ruotano attorno a Dio»), con una chiosa: «Nel Medioevo mi avrebbero bruciato come un eretico».
È la storia di un’anima questo libro cominciato sessant’anni fa, nel 1956, quando Carl Gustav Jung, a 81 anni (era nato il 26 luglio del 1875 a Kesswil, sulla sponda elvetica del
lago di Costanza), era al culmine della fama. Ma guai a cercarvi aforismi sapienziali come molta pubblicistica e derive di tipo New Age sono solite fare; basta un giro sul web per rimanere sconcertati da equivoci e superficialità di una psicologia- fai-da-te che Jung invece condannava: si legga il capitolo «Attività psichiatrica». I Ricordi sono racconto, intensa, godibile, opera d’uno psichiatra (come egli ribadisce d’essere), di uno scienziato che per bussola ha una visione empirica del lavoro clinico e ha distanza critica e coscienza etica nei confronti di sogni, fantasie, passioni, errori. Jung mostra un’alta considerazione dei suoi vissuti: «Solo ciò che si è verificato nel mio intimo si è dimostrato essenziale e determinante». Si fa prendere dal lavoro, per cinque anni, sino alla morte. Matura consapevolezza del valore della memoria: «Annotare i miei primi ricordi è diventato un bisogno, e se trascuro di farlo, anche per un solo giorno, immediatamente ne conseguono sintomi fisici spiacevoli». È quasi impietoso nel mettersi a nudo: «Ciò che sono e ciò che scrivo sono una cosa sola». Sa di esporsi a fraintendimenti: «La mia vita è stata la quintessenza di ciò che ho scritto, e non viceversa». Teme i giudizi («Se il libro su Giobbe è stato accolto con tanta incomprensione, i miei “ricordi” avranno una sorte ancor più sfortunata»), ma li sfida, come aveva fatto nei passaggi decisivi della vita; a cominciare da quando decise che non poteva più recitare la parte dell’interprete fedele del nuovo verbo della psicoanalisi e vestire i panni di figlio-erede che Freud gli aveva cucito addosso. Ruppe col più anziano collega, rinunciò al ruolo di delfino (del quale peraltro s’era tanto compiaciuto) e finì per creare terra bruciata intorno a sé.
Ci son pagine mirabili nei Ricordi in cui, dando la sua versione della separazione da Freud, Jung mette passione e dubbi circa il suo conflitto interno con l’autorità (Freud «rappresentava per me ancora una personalità superiore»). Sperimenta il costo dell’indipendenza, del «sii quello che sei», ma è conscio del valore cui la separazione porta. Sulla conquista dell’autonomia, dell’essere
se stessi, baserà il successivo cammino, facendolo poi assurgere a modello di sviluppo psicologico generale sotto il nome di «processo d’individuazione».
Nel libro Jung annuncia ciò che a noi risulta chiaro dopo la pubblicazione del suo Libro Rosso, nel 2010. In tale opera, un volume di grande formato, simile a un codice medioevale,
sono riprodotte immagini e descritti i sogni tremendi che invasero la mente di Jung dopo la rottura con Freud tra il 1913 e il ’14 facendogli temere una psicosi. Jung ricorda che si curò affrontando le visioni, mettendole su pagina, trascrivendo e miniando con ossessione i dialoghi con Anima, Spirito del Tempo e Spirito del Profondo, incontri con figure guida (Elia e Filemone), disegnando mandala che in coloratissimi quadrati e cerchi contenevano emozioni violente. «Scoprii che cosa è veramente il mandala: “Formazione, trasformazione, della Mente eterna, eterna ricreazione”». Annotò nel ’57 a margine del Libro rosso, proprio mentre era preso dal riordino dei Ricordi: «Gli anni più importanti della mia vita furono quelli in cui inseguivo le mie immagini interiori. Ad esse va da vecchio alle energie creative del puer.
Vedeva lontano. Negli anni dei Ricordi, sulla scia della disposizione di Jung a «curarsi col gioco», Dora Kalff, sua allieva, ideò un modo di fare analisi, la Terapia del Gioco con la Sabbia, oggi diffusa in tutto il mondo. «Il demone della creatività è stato con me spietato», conclude Jung. A renderlo attuale è questo daimon, come lui lo chiamava. È il fascino dell’energia psichica tra fantasie e coscienza, la libertà verso se stesso e gli altri, la scommessa sull’uomo che nel realizzare sé non dimentica la visione generale del mondo e il ruolo dello Spirito. Sulla porta di casa a Küsnacht, Jung fece scolpire: Vocatus atque non vocatus deus aderit: chiamato o meno, il divino sarà presente. L’antico oracolo di Delfi ripreso attraverso Erasmo, confesserà Jung. La tradizion umanistica è il rizoma dello psichiatra di Zurigo.
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Il secondo volume
L’allievo (ribelle) di Freud che divenne maestro
Padri fondatori della psicoanalisi, i cui testi fondamentali hanno annunciato la nascita o l’evoluzione di concetti come inconscio, complesso, archetipo, pulsione, oppure il concepimento di una nuova idea dell’uomo e della cura, o un nuovo modo di leggere la mente e le relazioni. E, accanto ai maestri, ecco gli studiosi contemporanei che hanno sviluppato visioni nuove eppure radicate nella storia della disciplina. Da domani, per la Biblioteca di psicologia, sarà in edicola il secondo volume della collana, un’iniziativa editoriale di 30 uscite: classici come Freud, che la settimana scorsa ha inaugurato l’opera con Introduzione alla psicoanalisi, o Lacan, ma anche innovatori come Bettelheim e Basaglia, e autori contemporanei.
Il secondo volume (al costo di e 8,90 più il prezzo del quotidiano) è un altro titolo celeberrimo, Ricordi, sogni, riflessioni dello zurighese Carl Gustav Jung (1875-1961). Si tratta di un testo dal tono autobiografico in cui lo psicoanalista racconta se stesso sullo sfondo della propria visione dell’inconscio e del «mito individuale», rievocando inoltre il proprio rapporto, e la rottura, con l’antico maestro, Freud. La terza uscita della collana, il 14 ottobre, presenta un altro classico, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, uno dei più celebri seminari di Jaques Lacan, in cui lo psichiatra affrontò temi come la funzione dello sguardo e quella delle attività percettive.
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